Il caso Apostolico prima e quello Perna poi hanno spaccato le correnti dell’Anm. Il clima, in vista dell’assemblea del 26 novembre, è abbastanza teso. Lo si evince dal dibattito che la stessa magistratura ha voluto tenere su questo giornale. Oggi ne parliamo con Angelo Piraino, segretario di Magistratura indipendente, il gruppo delle toghe moderate che nel prossimo weekend celebrerà il proprio congresso, dal titolo “Le sfide della giurisdizione: i magistrati, la legge e la politica”.
Venerdì in una riunione di giunta dell’Anm, c’era molta attesa per un documento sul caso Perna- Procura di Milano. È stata fumata nera. Che posizione avete assunto?
È una vicenda che dovrebbe indurre a riflettere sul bisogno di separare le carriere: dimostra che ci sono già garanzie sufficienti ad assicurare la serenità del giudizio del giudice sulle richieste del pm. È fisiologico che la Procura non condivida le conclusioni del gip e faccia appello, ma prima di parlare di “attacco” bisognerebbe leggere l’atto processuale, non fermarsi ai resoconti giornalistici. La presunta “accusa” di fare copia e incolla, ove fosse vera, non mi pare un attacco né una denigrazione: è una pratica diffusissima sia tra i pm che tra gli avvocati e i giudici, e non è un’offesa: non siamo scrittori obbligati ad essere originali, dobbiamo solo rendere conto delle nostre decisioni.
Albamonte (Area) prima, Musolino (Md) poi accusano Mi di essere “collaterale” al governo e alla maggioranza, sacrificando persino la difesa dell’autonomia e indipendenza della magistratura, a partire dal fatto che Mi non ha sottoscritto il documento che il direttivo Anm porterà all’assemblea nazionale del 26 novembre sul caso Apostolico, per finire alle critiche su un nuovo Csm “anch’esso caratterizzato da logiche maggioritarie che vedono alleati i rappresentanti della magistratura conservatrice e i laici espressi dalla stessa maggioranza di governo”. Come replica?
Abbiamo proposto al comitato direttivo centrale dell’Anm un documento, che conteneva una ferma condanna della delegittimazione personale mediatica dei magistrati, delle critiche rivolte ai provvedimenti giudiziari a prescindere dalla motivazione di questi e dei toni scomposti delle affermazioni fatte da alcuni esponenti politici. Ma conteneva anche un invito a riflettere su come questa situazione sia stata anche determinata da condotte inopportune di singoli, e su come, in un momento così delicato della vita del paese, sia fondamentale che ciascun magistrato preservi il patrimonio di credibilità della magistratura italiana. La nostra proposta è stata bocciata perché avrebbe indebolito l’azione dell’Anm. Esaminare i fatti con onestà e crudezza richiede molto più coraggio, esporre solo le verità che fanno più comodo, come hanno deciso di fare gli altri gruppi dell’Anm, è fare politica. Per noi è necessario che tutti, politici e magistrati, riflettano sui rispettivi errori, per tornare a interloquire in modo rispettoso delle istituzioni. Questo significa essere collaterali? Mi fa sorridere l’accusa, tanto più se mossa da gruppi che ai loro congressi nazionali invitano e acclamano i vertici dei partiti politici dell’opposizione, accolti come interlocutori privilegiati. Ritengo gravissima, invece, l’insinuazione di aver sacrificato la difesa della magistratura in cambio della maggioranza al Csm: è forse uno dei punti più bassi della nostra storia associativa. Il problema, forse, è che chi la fa è consapevole di aver perso una posizione di dominio esercitata in modo indisturbato per decenni, a volte anche a dispetto degli esiti elettorali. Non è un caso che questo Csm stia finalmente riuscendo a dare attuazione a obblighi di legge, come la definizione dei carichi esigibili e degli standard di rendimento, per i quali ci siamo sempre battuti e che erano rimasti inattuati per tantissimi anni, proprio per volontà di chi ne orientava fino a poco tempo fa l’azione.
La dimostrazione di una “sinergia culturale” con la destra non la si evince anche dal comunicato della Lega che ha applaudito la vostra presa di posizione nel direttivo Anm?
Con il suo comunicato la Lega invocava i valori della sobrietà, dell’autocritica e della responsabilità: abbiamo pubblicamente risposto che, se quei valori erano veramente condivisi, dovevano cessare gli attacchi personali ai magistrati e si doveva cominciare a parlare del contenuto dei provvedimenti. È quello che è accaduto: gli attacchi sono cessati.
Alcuni suoi colleghi sostengono che avete militarizzato via Arenula fino ad arrivare al sottosegretario Mantovano, già esponente di “Mi”, laddove quando furono altre correnti ad avere loro rappresentanti nei ruoli chiave dell’amministrazione ci sarebbero state assai meno remore nell’attaccare il governo di allora.
Il ministro sceglie i suoi collaboratori sulla base di un rapporto fiduciario, non ci siamo mai permessi di influire su queste scelte. Nessuno si è mai stupito, in passato, che i precedenti ministri, di diverso orientamento politico, scegliessero i collaboratori tra quelli che ritenevano culturalmente più affini. Mi preoccupa il sottinteso di queste critiche. Il magistrato chiamato al ministero della Giustizia non serve il politico, ma l’istituzione, e deve farlo con disciplina e onore, mantenendo la propria imparzialità. Queste critiche mi fanno pensare che “Area” e “Md” abbiano una visione più “militante” di queste funzioni.
Un acuto osservatore come Giorgio Spangher ha fatto notare che stiamo assistendo a “una forte accelerazione del penalismo per cavalcare il consenso”. Condivide questa posizione?
La nostra linea, con i governi di qualsiasi colore, è basata su un presupposto: la scelta dei fini di un intervento normativo compete al legislatore. La magistratura può e deve evidenziare le criticità tecniche delle norme, senza invadere il campo delle scelte dei valori, salvo che siano contrari alla Costituzione o alle norme sovranazionali.
In questo contesto come si colloca Nordio, che scriveva “l’errore, l’equivoco della destra, è quello di pensare di garantire la sicurezza attraverso l’inasprimento delle pene, la creazione di nuovi reati e magari con un sistema carcerario come quello che abbiamo che diventa criminogeno”? Sono due temi differenti, ma incrociati. Se il legislatore ritiene che dei beni vadano tutelati di più, usa lo strumento penale, ma si rischia l’approccio panpenalistico. Il diritto penale non è la panacea di tutti i mali, dovrebbe essere l’estrema risorsa, da usare quando tutti gli altri strumenti non funzionano. Il nostro sistema carcerario è sicuramente molto indietro sull’aspetto della finalità rieducativa della pena, ma le recenti riforme stanno cercando di correggere il tiro, anche grazie alla giustizia riparativa.
Che giudizio dà in generale di questo primo anno del ministro Nordio?
Non spetta a me formulare giudizi, spetta solo agli elettori. Questo governo deve attuare le riforme lasciate in eredità dal precedente, io personalmente auspico una moratoria delle riforme, per consentirci di far funzionare e di valutare l’effettiva efficacia di quelle già varate. Quello di cui abbiamo veramente più bisogno sono le risorse materiali.