ultimo aggiornamento
sabato, 19 aprile 2025 22:01

Borsellino vivo nel ricordo di Rudolph Giuliani ,di Stefano Amore

 martedì, 20 luglio 2010

Print Friendly and PDF

Lunedì 19 luglio ricorre l'anniversario della strage di Via d'Amelio, in
cui Paolo Borsellino e la sua scorta furono barbaramente massacrati.*

In questi giorni abbiamo appreso che qualcuno "non gradisce" e che si
tenta, con gli strumenti più rozzi, ma per questo non meno pericolosi, di
cancellare la memoria di Paolo Borsellino, di Giovanni Falcone e dei tanti
che hanno avuto il coraggio di sostenere, con coerenza e coraggio, sino alla
fine, le loro idee di giustizia.

*Per continuare a ricordare Vi invito, quindi, a visitare il sito
www.ilprofumodellaliberta.it in cui
potrete leggere e scaricare il libro dedicato a Paolo Borsellino e Giovanni
Falcone, in cui abbiamo raccolto alcuni contributi sulla loro umanità e
sulla loro opera.

Il volume, pubblicato grazie alla sensibilità e all'impegno del Ministro
della Gioventù, Giorgia Meloni, che ha voluto già inviarlo a tutti i
parlamentari italiani, contiene solo alcuni contributi ed è, quindi,
inevitabilmente, incompleto.

Per questa ragione è stato creato un sito web per raccogliere e pubblicare
anche altri contributi  (chi fosse interessato può inviare il suo pezzo al
mio indirizzo  stefano.amore@gmail.com  oppure
gioventu@ilprofumodellaliberta.it  ) e dare, così, permanenza all'iniziativa.*

Vi ringrazio dell'attenzione e Vi anticipo in calce l'intervista,
pubblicata nel libro, che mi ha rilasciato Rudolph Giuliani. Alcune dei
fatti e delle considerazioni che racconta, mi sembrano di grande interesse.

* *

 

"YOU INCREASE YOUR LUCK WITH COOPERATION."

 

Rudolph W. Giuliani ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Intervista di Stefano Amore.

 

 

*Procuratore, preferirei chiamarla così in questa intervista, quando ha
incontrato per la prima volta Giovanni Falcone? Che ricordo ha di quel primo
incontro?*

 

Il primo incontro tra me e Falcone credo che risalga al 1985 o al 1986 ed è
avvenuto nell'ufficio dello United States Attorney. Giovanni era negli Stati
Uniti con altri  magistrati italiani per avviare la collaborazione nel caso
"Pizza Connection" e  condividere le informazioni che avevamo raccolto sulla
Mafia. La situazione era tale che quando abbiamo iniziato le indagini per il
caso "Pizza Connection" avevamo il problema di dover trascrivere alcune
conversazioni telefoniche in dialetto Siciliano. Ma non avevamo interpreti
che conoscessero il dialetto Siciliano, cosa che ci ha  costretti a
organizzare un corso per far imparare agli interpreti il dialetto Siciliano.

Questo stretto rapporto tra Mafia americana e Mafia siciliana ci fece anche
capire, però, che per ottenere dei risultati bisognava creare una stabile
collaborazione con l'autorità giudiziaria italiana, Noi eravamo abituati
alla mafia Americana che operava da sola. Le famiglie di New York e di
Chicago lavoravano ognuna per conto proprio e solo raramente organizzavano
qualche affare insieme. Ma in questo caso era diverso. E i rapporti erano
talmente forti che non si riusciva neppure a capire chi comandava veramente.
Per questa ragione è iniziata la collaborazione con i magistrati italiani e
così ho incontrato per la prima volta Giovanni Falcone.

 

 

*Che tipo di rapporti esistevano all'epoca tra l'autorità giudiziaria
statunitense e quella italiana? Vi erano già stati episodi significativi di
cooperazione per combattere la mafia o, anche sotto questo profilo, Falcone
fu un precursore?   *

 

A presentarmi Falcone fu Louis Freeh, che già lavorava con i magistrati
italiani. Falcone divenne presto nostro ospite abituale. C'erano sempre 5, 6
italiani nei nostri uffici, non solo magistrati, ma anche poliziotti. La
polizia italiana ci aiutava ad analizzare le informazioni che avevamo
acquisito, ci spiegava il senso di certi riferimenti e noi facevamo lo
stesso con loro per la parte americana. In questo modo  abbiamo sviluppato,
molto rapidamente, un rapporto molto stretto. Questa collaborazione si è poi
ulteriormente rafforzata quando Gaetano Badalamenti venne arrestato in
Spagna. C'erano richieste di estradizione da parte sia dell'Italia che degli
Stati Uniti, così io e  Louis Freeh, su consiglio di Giovanni Falcone,
andammo in Italia, per fare un accordo che consentisse di superare i
conflitti che c'erano stati in passato. E infatti riuscimmo a concludere un
accordo con il Ministero della Giustizia e con il Ministero dell'Interno
italiani che consentiva di farlo entrare nel programma americano di
protezione testimoni (American Witness Protection Program). Per concludere
questo accordo fu determinante l'aiuto dell'Ambasciatore Raab, che adorava
l'Italia e godeva di un grande prestigio presso il governo italiano. E'
difficile descrivere l'intensità del rapporto che si era creato. I
magistrati italiani erano sempre negli Stati Uniti, il mio collega Dick
Martin, uno dei pubblici ministeri di Pizza Connection, faceva continuamente
la spola con l'Italia. Non ho mai più visto una collaborazione così forte
nel settore giudiziario.

 

*La cooperazione giudiziaria internazionale rappresenta oggi il presupposto
fondamentale per combattere una criminalità sempre meglio organizzata e
coordinata. Alle organizzazioni criminali tradizionali si sono aggiunte oggi
quelle terroristiche. Cosa si può fare, secondo Lei, per migliorare ancora
di più la cooperazione giudiziaria e di polizia tra Stati Uniti e Europa?*

 

Dopo l'11 Settembre la cooperazione tra l'Europa e gli USA è molto
migliorata. I servizi di intelligence oggi collaborano e condividono le
informazioni anche quando le posizioni politiche dei governi non sono le
stesse. In particolare, il rapporto tra Italia e Usa continua ad essere
molto stretto. Naturalmente, se per contrastare il terrorismo si facesse
quello che abbiamo fatto, insieme a Falcone e a Borsellino, per combattere
la mafia, sarebbe tutto più facile. Bisognerebbe, cioè, lavorare fianco a
fianco, nello stesso ufficio, creare un pool di persone, di tutte le
nazioni, in grado non  solo di veicolare le informazioni, ma di farne
comprendere la portata e il senso. Spesso le informazioni ricevute vengono
fraintese o sottovalutate nella loro importanza, cosa che non accadrebbe se
fosse possibile parlare e confrontarsi.

Nonostante il grande sforzo di collaborazione tra i servizi americani e
quelli europei e gli ottimi risultati conseguiti, si potrebbe forse fare
ancora di più creando apposite strutture che consentano di lavorare insieme.
Negli Stati Uniti la creazione della Joint Terrorism Task Force (JTTF), che
coordina tutte le agenzie e forze di polizia (- ne fanno parte oltre
l'F.B.I. : U.S. Coast Guard Investigative Service, U.S. Immigration and
Customs Enforcement, U.S. Customs and Border Protection, la Transportation
Security Administration, U.S. Secret Service, il Department of State's
Diplomatic Security Service (DSS)), le forze di polizia statali e locali e
la polizia stradale - ) ha dato eccellenti risultati, perché consente una
valutazione incrociata delle informazioni e impone a tutti di lavorare nello
stesso ufficio. Riuscire a sventare un attentato, come quello di Times
Square della scorsa settimana, è anche questione di fortuna, ma la fortuna
aumenta con la cooperazione.

 

*Torniamo al suo rapporto e alla sua amicizia con Falcone. Ci può raccontare
qualche particolare inedito relativo al vostro rapporto? *

* *

Certo. Mi ricordo di una volta che l'ho visto dalla finestra del mio
ufficio, mentre camminava in Piazza San Andrea con un berretto dei New York
Yankees in testa, circondato da alcuni colleghi. Allora sono sceso
dall'ottavo piano per andargli incontro. L'ho raggiunto che era ancora in
piazza con questo cappellino e mi è venuto spontaneo chiedergli: "ma cosa
fai con il berretto dei Yankees?" Falcone allora mi guarda e mi  risponde
che sta cercando di imparare le regole del baseball, aiutato da uno dei miei
assistenti. Mi è venuto naturale dirgli che i miei assistenti erano dei
bravissimi giuristi, che sapevano tutto della legge, ma che il baseball lo
conoscevo meglio io. Così, da allora, nelle pause di lavoro lui veniva nel
mio ufficio per parlare di baseball ! Ricordo che una volta gli ho disegnato
uno schema del gioco, con il diamante, le quattro basi, il monte di lancio,
cercando di spiegargli come funzionava. Falcone faceva fatica a capire il
concetto di "foul ball", e cioe' che la palla doveva entrare tra le righe
del diamante e quelle del fuori campo per essere considerata a "fair ball",
cioe' per rimanere una palla in gioco. Ma quella che a Giovanni proprio non
piaceva era la regola per cui il foul viene conteggiato come strike solo
fino al secondo. Dopodiché, il battitore può continuare a battere foul
all'infinito, senza che questo porti alla sua eliminazione. Questa regola a
Falcone proprio non piaceva, soprattutto perché, secondo lui, allungava
troppo i tempi della partita.

Al di là degli scherzi, ricordo un uomo che amava molto il suo paese,
l'Italia, e la sua terra, la Sicilia. Quando parlava della Sicilia si
emozionava e insisteva sempre su un concetto: che la Sicilia si doveva
modernizzare e che alla base del suo mancato sviluppo c'era la mafia.
Secondo Falcone la mafia aveva impedito non solo lo sviluppo e la
modernizzazione della Sicilia, ma anche la crescita dell'Italia come nazione
moderna. A suo parere solo sconfiggendo la mafia l'Italia sarebbe tornata ad
essere una nazione all'avanguardia nel mondo.

 

*Falcone è ricordato anche come un magistrato estremamente corretto. Qualche
tempo fa un collega mi rammentava lo scrupolo che poneva nel formulare le
domande ai collaboratori di giustizia e nel trascriverne (lo faceva
personalmente) le risposte. Le sue domande evitavano, sempre, suggestioni ed
erano per lo più tese ad approfondire fatti o responsabilità di persone di
cui il dichiarante aveva già parlato. Le dichiarazioni rese dai pentiti,
Falcone ne era consapevole, debbono essere valutate con grande prudenza in
quanto uno degli scopi della criminalità organizzata può essere proprio
quello di fuorviare le indagini, anche per indebolire le istituzioni,
minandone la credibilità. Qual è la sua opinione sui pentiti e sulla loro
utilità nei processi di mafia?*

 

La mia opinione e' che i pentiti rappresentano un elemento da cui non si può
prescindere per combattere efficacemente la mafia e, anche, il terrorismo.
Negli Stati Uniti li chiamiamo "Topi di fogna", ma aldilà del nomignolo,
certamente meno gentile di quello italiano, la sostanza non cambia. Chiamare
"pentiti" queste persone forse è meglio, perché può stimolare un processo di
reale cambiamento, facendo percepire loro che la scelta di cambiare vita, di
non uccidere più, può riconciliarli realmente con la società. A questo
proposito mi viene in mente un episodio, il caso di una persona che
all'inizio non voleva collaborare perché non se la sentiva di tradire i suoi
amici e colleghi. La discussione che ebbi con lui fu animatissima e sembrava
che non ci fosse modo per fargli cambiare idea. Poi, a un certo punto, gli
chiesi se voleva veramente che i suoi figli facessero la stessa fine,
crescendo in un mondo dove si uccideva gente innocente. Questa persona mi
rispose di no e si convinse, finalmente, che per respingere quel tipo di
vita, per dare una speranza ai suoi figli, doveva avere il coraggio di
tradire chi lo aveva spinto ad uccidere. Sotto il profilo psicologico, il
termine "pentiti" che usate in Italia per indicare questi collaboratori è,
veramente, il migliore. Perché tiene conto del fatto che gli esseri umani
possono fare cose terribili, ma che tutti hanno in sé la forza di redimersi,
se lo vogliono veramente.

Sotto un profilo pratico, l'importanza dei pentiti è poi evidente se si
riflette sul fatto che è quasi impossibile condurre con successo delle
indagini su una organizzazione segreta, come è la Mafia, senza l'aiuto di
qualcuno che ne faccia o ne abbia fatto parte. Per il terrorismo vale,
evidentemente, lo stesso ragionamento.

Tutto il lavoro di Falcone e di Borsellino, tutto il nostro lavoro, sarebbe
stato, almeno in parte, inutile, se non avessimo avuto la collaborazione di
alcuni "pentiti", che con le loro dichiarazioni ci hanno permesso di
ricostruire le dinamiche dei crimini commessi dalla mafia. Riuscire a
convincere queste persone a collaborare è stata la vera chiave del successo
di molte delle indagini condotte in quegli anni.

 

*Durante l'operazione chiamata "Pizza connection" si scoprì che l'eroina
prodotta a Palermo veniva venduta nelle pizzerie di molte città degli Stati
Uniti e che gran parte dei profitti veniva non solo reinvestito nel settore
della droga, ma anche utilizzato per finanziare importanti operazioni
immobiliari. Falcone attribuiva grande importanza alle indagini bancarie e
patrimoniali. Lei che è stato anche Sindaco di una grande città come New
York ed è noto in tutto il mondo per avere, con la Sua "tolleranza zero",
sconfitto la violenza in questa grande metropoli, potrebbe suggerire una
formula efficace di "tolleranza zero" anche nei confronti dei grandi
investimenti patrimoniali della mafia? Come si può impedire, una volta per
tutte, che la mafia possa investire i proventi delle sue attività criminali
in banche, ospedali, programmi edilizi? Come si può impedire che metta le
sue mani sulle città ? Negli Stati Uniti cosa si fa per combattere questo
fenomeno ?        *

* *

Prima di tutto va fatta una precisazione. "Tolleranza zero" e' il modo
europeo per definire quello che facevo: partire dalle piccole cose, dalle
finestre rotte, per combattere la criminalità.  Poi va anche chiarito che
non ho sconfitto la criminalità di New York, l'ho solo ridotta, in modo
significativo, del 50/60 %. Sconfiggere la criminalità per sempre credo sia
impossibile, perché il male fa parte della natura dell'uomo. Ma certamente è
possibile contenerla in modo significativo ed è questo quello che ho fatto a
New York. Convengo poi sul fatto che le misure che incidono sugli
investimenti e sui patrimoni della mafia sono molto piu' efficaci del
carcere.

Lo statuto Rico (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act) ha
permesso negli Stati Uniti non solo di condannare i mafiosi, ma anche di
confiscare le società in cui avevano investito i proventi dei loro crimini.
Senza queste misure i procedimenti giudiziari avrebbero prodotto solo un
avvicendamento tra i vecchi capi, quelli  arrestati e condannati, ed i
nuovi. Si sarebbero arrestate e condannate persone, ma non sarebbe cambiato
nulla. Confiscando i soldi, le società e le proprietà immobiliari della
mafia abbiamo, invece, messo in ginocchio le organizzazioni criminali. Negli
Stati Uniti la mafia si era impadronita del mercato del pesce, di aziende di
abbigliamento, dell'intera industria del trasporto dei rifiuti di New York.
Ebbene, tutte le società e imprese su cui la mafia aveva messo le mani, le
abbiamo confiscate e poi vendute. E colpendo la mafia nelle sue attività
economiche ne abbiamo ridotto, in modo sensibile, l'influenza nella società
e la forza.

Questo modo di procedere andrebbe applicato anche nei confronti delle
organizzazioni terroristiche. Se privi delle risorse economiche i
terroristi, per loro sarà molto più difficile organizzare un attentato. La
persona che è stata arrestata per l'attentato di Times Square non aveva i
soldi per pagarsi una casa, ma ha portato negli USA 80.000 dollari. Chi
glieli ha dati? Scoprire chi lo ha finanziato è il primo passo per impedire
che si possano organizzare altri attentati.

 

*So che Le sto per fare una domanda dolorosa. Cosa ha provato quando ha
saputo delle stragi di Capaci e di Via d'Amelio? Che impatto hanno
avuto  quelle
stragi sull'opinione pubblica e sul mondo politico statunitense? *

 

Ne sono rimasto sconvolto. E' veramente difficile parlare del dolore che ho
provato.... Avevo incontrato Falcone, per l'ultima volta, alcuni mesi prima,
nel 1991 credo. Sarei dovuto andare a ritirare un premio in Sicilia e ne ero
felicissimo,  perché desideravo molto poter visitare la Sicilia. Ma non fu
possibile.

Prima venne il Console Generale d'Italia a New York a consigliarmi di
ricevere il premio nella sede del Consolato, poi l'F.B.I. mi fece sapere che
il governo italiano non voleva che io andassi in Sicilia perché lo reputava
troppo pericoloso. Così, alla fine, si decise che mi avrebbero premiato a
Roma.

Mi ricordo distintamente che, non appena in Italia, parlai di questa vicenda
con Falcone, facendogli notare che se era pericoloso andare in Sicilia per
me, per lui lo era dieci volte di più. " Si, ma e' lì che vivo, lo sai" mi
rispose, aggiungendo poi una frase del tipo: "Ma se succede, lo capisco".
Forse era una sorta di fatalismo o forse era la fiducia che aveva nella sua
volontà e il desiderio fortissimo di riuscire, anche a prezzo della vita, a
sconfiggere per sempre il cancro della mafia. Cosi' quando ho saputo della
sua morte, di quella di Borsellino, di quelle terribili stragi, ero
sconvolto, ma non posso dire che fossi veramente sorpreso.

So di dire una cosa terribile, ma credo che solo lasciando l'Italia Falcone
avrebbe avuto la possibilità di salvarsi. Lui aveva inferto colpi gravissimi
alla mafia, ma erano rimasti in piedi i mafiosi più violenti, quelli più
disperati. Negli Stati Uniti noi non abbiamo mai corso gli stessi rischi. I
miei assistenti venivano minacciati, io stesso sono stato minacciato molte
volte ed abbiamo sempre preso molto sul serio la possibilità di essere
oggetto di attentati. Ma debbo dire, molto onestamente, che ritenevo molto
improbabile che la mafia americana potesse decidere di uccidere uno United
States Attorney, o un assistente di uno United States Attorney o un agente
dell'FBI. La mafia americana aveva ed ha delle regole. Non uccidono né
giudici, né pubblici ministeri, né poliziotti, perché sanno che le
conseguenze sarebbero gravissime. Nel 1986, quando ero US Attorney, venne
ucciso a New York il Detective Venditti, ma fu la stessa mafia a consegnarci
gli assassini.

La mafia siciliana aveva un approccio totalmente diverso: uccidevano
giudici, uccidevano poliziotti. Potevano fare quello che volevano e lo
sapevano. Ammiravo enormemente il coraggio di Falcone e di Borsellino,
perché affrontavano, ogni giorno, pericoli enormi. Tutto questo per dire che
non ero sorpreso quando ho saputo delle stragi.  Ero sconvolto, ma non ero
sorpreso.

 

*Da quelle stragi sono trascorsi quasi vent'anni. **Paolo Borsellino
immaginava che la mafia sarebbe svanita come un incubo se i giovani le
avessero negato il loro consenso. Il qualunquismo culturale, la crisi di
valori caratteristica della nostra epoca non aiutano i giovani e sono,
probabilmente, i migliori alleati della mafia e delle grandi organizzazioni
criminali. Cosa si può fare, secondo Lei, per aiutare i giovani a rifiutare
la mafia, il denaro facile, la violenza? *

 

Basterebbe avere una buona famiglia, dei buoni genitori. Purtroppo il
governo puo' contribuire all'educazione dei giovani, ma non puo' assicurare
una madre e un padre che diano ai figli dei sani principi ! Così in Sicilia
la mafia si è trasmessa di generazione  in  generazione, anche se oggi
scopriamo che in Calabria e in Campania le cose vanno anche peggio..Questo
perché in Sicilia si sono investite risorse, perché ci sono stati uomini
come Falcone e Borsellino che hanno dato la loro vita per consentire a
quella terra di fare un passo in avanti. Per sconfiggere la criminalità
organizzata, per sconfiggere le mafie, è necessaria però una strategia
complessiva, fatta di molti interventi. Devi fare le indagini, devi mettere
in prigione i mafiosi e confiscare i loro beni, ma devi anche diffondere la
fiducia nello Stato e incoraggiare le famiglie a dare ai figli un'educazione
ricca di valori.

A me hanno insegnato, quando ero molto giovane, che la mafia e' una cosa
molto brutta per gli italiani, ma allo stesso tempo, mi hanno anche
insegnato a non sentirmi una vittima di questa situazione. Mi hanno
insegnato che e' un peccato che ci siano italiani che fanno parte della
mafia, ma che dipende da noi italiani fare in modo che questo non accada.
Prima che divenissi U.S. Attorney, nel dipartimento di Giustizia non si
poteva pronunciare la parola mafia! Lo aveva proibito il Procuratore
Generale Mitchell, perche' gruppi di italoamericani si erano lamentati di
essere "additati" dalla gente come mafiosi. La verità non era questa però.
La verità era che gli italoamericani consentivano alla mafia di continuare a
comandare, di compiere crimini. Gli Italiani non godevano di buona fama non
tanto perché la gente fosse prevenuta nei loro confronti, quanto perché noi
italiani non facevamo abbastanza per combattere la mafia. Quello che la
gente ci chiedeva era che gli italoamericani fossero i primi a combattere la
mafia negli Stati Uniti. Così invece di  difendere quell'un percento di
italiani che era effettivamente legato a quell'organizzazione criminale,
dovevamo combatterli, farli condannare, per dimostrare alla gente che la
mafia e gli italiani non hanno nulla in comune. Questa idea, che ho
sviluppato e ho cercato di attuare durante tutto il corso della mia vita,
non l'ho appresa da solo. Me l'hanno insegnata ed è penetrata profondamente
in me. Solo una famiglia sana e una buona educazione possono condurre a
certi risultati.

 

*Un'ultima domanda. In Italia il sacrificio di Giovanni Falcone e di Paolo
Borsellino ha spinto moltissimi giovani ad entrare in magistratura e nelle
forze di polizia. Cosa consiglierebbe, oggi, a un ragazzo che vuole
diventare magistrato?      *

* *

Penso che sia una grande professione e penso che i giovani possano dare un
enorme contributo. I magistrati con cui ho lavorato in Italia erano
estremamente coraggiosi e molto apaci. Erano persone di grande intelligenza,
avevano un'eccellente preparazione e un enorme talento. Ed erano magistrati
molto equilibrati. Mi hanno insegnato molto e mi hanno fatto conoscere un
sistema molto diverso da quello statunitense. Un sistema ricco di regole già
nella fase investigativa che consente, proprio per questo, di affrontare il
dibattimento nel migliore dei modi.

 
 
 
 
 
 

© 2009 - 2025 Associazione Magistratura Indipendente
C.F.: 97076130588
Via Milazzo, 22 - CAP 00165 - Roma, Italia
segreteria@magistraturaindipendente.it

 
 

Magistratura Indipendente utilizza cookies tecnici e di profilazione. Alcuni cookies essenziali potrebbero già essere attivi. Leggi come poter gestire i ns. cookies: Privacy Policy.
Clicca il pulsante per accettare i ns. cookies. Continuando la navigazione del sito, acconsenti all'utilizzo dei cookies essenziali.