Magistratura Indipendente ha chiesto la convocazione urgente del CDC per affrontare nuovamente il delicato tema della responsabilità civile dei magistrati.
La discussione per l’approvazione definitiva della legge di riforma è infatti fissata alla Camera il prossimo martedì, 24 febbraio.
La Corte di Giustizia, con la sentenza n. 173 del 13 giugno 2006, ha affermato la contrarietà al diritto comunitario di una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario posta in essere da un organo giurisdizionale di ultimo grado tramite un’interpretazione delle norme giuridiche o una valutazione dei fatti e delle prove; successivamente, con la sentenza n. 379 del 24 novembre 2011, ha dichiarato che l’Italia, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli dalla violazione del diritto comunitario che sia derivata dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove effettuate da un organo giurisdizionale di ultimo grado e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art.2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n.117, è venuta meno agli obblighi imposti dal principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.
La Commissione, a fronte del persistente inadempimento del nostro legislatore, ha avviato nei confronti dell’Italia una nuova procedura d’infrazione, ex art. 260, par. 2, del Trattato dell’Unione Europea.
La necessità di adempiere gli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario ha, tuttavia, costituito l’occasione per prospettare un’ennesima riforma punitiva nei confronti dei magistrati.
Questa riforma non è imposta dall’Europa, che chiede solo che lo Stato risponda della violazione del diritto comunitario, non che ne rispondano anche i singoli magistrati, e non è funzionale al miglioramento del sistema giudiziario, che, al contrario, danneggia, in quanto rende vaghi ed incerti i presupposti della responsabilità civile del magistrato, con il rischio d’ingenerare una giurisprudenza “difensiva” e di trasformare l’azione di responsabilità in un ulteriore grado di giudizio in aggiunta a quelli già esistenti.
Come scriveva Lord Denning MR, nella sentenza “Sirros vs Moore” del 1974, il giudice “dovrebbe essere in grado di svolgere il suo lavoro in completa indipendenza e libero da paura. Non dovrà girare le pagine dei suoi libri con dita tremanti chiedendosi “se decido in questo modo potrò essere chiamato in giudizio per risarcire i danni?”. Finché svolgerà il suo lavoro nella onesta convinzione di esercitare la giurisdizione, allora non dovrà essere sottoposto ad azioni legali per il suo lavoro”.
Nell’ordinamento italiano, la responsabilità civile del giudice per i danni che cagiona nell’esercizio delle sue funzioni è prevista, in virtù dell’art. 28 della Costituzione, ma alle condizioni e con i limiti necessari alla tutela della sua indipendenza ed autonomia, come chiarito dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 2 del 1968 e n. 26 del 1987.
In base alle attuali previsioni della legge 13 aprile 1988, n. 177, mentre è espressamente escluso che possa dar luogo a responsabilità civile l'attività di interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto e delle prove, l’azione di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie è consentita esclusivamente nei casi di dolo, colpa grave e denegata giustizia; può essere proposta, fatta eccezione per i danni derivanti da reato, solo contro lo Stato, al quale è riconosciuta, in caso di condanna, la rivalsa, nei limiti di un terzo di un’annualità di stipendio, nei confronti del magistrato; è subordinata ad una valutazione, rimessa al tribunale in camera di consiglio, relativamente all’ammissibilità ed alla non manifesta infondatezza; può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti tutti i mezzi d’impugnazione e, comunque, quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento; è sottoposta ad un termine di decadenza di due anni.
La proposta di legge, approvata dal Senato in data 20 novembre 2014 prevede la risarcibilità anche dei danni non patrimoniali cagionati dall’esercizio delle funzioni giudiziarie, prima limitata alla sola ipotesi di privazione della libertà personale; la possibilità che anche l’attività d’interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto o delle prove possa ingenerare la responsabilità civile nei casi di violazione manifesta della legge o del diritto dell’Unione Europea; definisce quale “ colpa grave”, sicura ipotesi di responsabilità, il travisamento del fatto o delle prove; prevede inoltre l’allungamento del termine di decadenza, da due a tre anni; l’eliminazione integrale del filtro di ammissibilità; l’obbligatorietà, pena la responsabilità contabile, dell’azione di rivalsa da parte dello Stato nei confronti del magistrato; l’innalzamento della misura della rivalsa da un terzo alla metà di un’annualità di stipendio o, in caso di dolo, l’esclusione di ogni limite quantitativo; l’eseguibilità della rivalsa tramite trattenute sullo stipendio netto nella misura non più di un quinto, al pari di ogni altro dipendente pubblico, ma di un terzo.
La reazione a questo attacco ingiustificato all’autonomia ed all’indipendenza della magistratura è stata sinora blanda e del tutto inefficace.
Nessun fattivo seguito è stato infatti dato al deliberato dell’Assemblea Generale del 9 novembre 2014, che non ha escluso l’adozione di ogni iniziativa idonea a tutelare la dignità del magistrato, comprese eventuali azioni “ di protesta”.
I magistrati italiani hanno una delle produttività più elevate d’Europa e proprio per questo corrono il rischio di sbagliare o, comunque, a prescindere da un loro errore, corrono il rischio di essere aggrediti da un’azione risarcitoria della parte destinataria della decisione sfavorevole ( è banale ricordarlo, ma è sempre almeno una per le migliaia di procedimenti affrontati).
Se la riforma sarà approvata, queste azioni potranno essere esercitate senza alcun filtro, in base a presupposti vaghi ed incerti, a condizioni deteriori e peggiori, per quanto concerne il limite della trattenuta sullo stipendio, rispetto a quelle degli altri dipendenti.
La riforma deve, quindi, essere osteggiata con forza e determinazione.
Magistratura Indipendente chiede, quindi, che il Comitato direttivo Centrale promuova:
• ogni iniziativa utile perché cessino le attività di supplenza svolte quotidianamente da ogni magistrato, dando mandato alla G.E.C. per la loro specifica individuazione relativa a ciascuna funzione, consentendo l’ effettiva applicazione del codice di rito, entro 15 giorni dalla data di oggi,
• proclami l’astensione dall’attività giurisdizionale dando mandato alla GEC di individuare la data;
• richieda un incontro al Presidente della Repubblica per esporgli le valutazioni della magistratura, anche in ordine ai profili di manifesta incostituzionalità, sulla proposta di riforma della responsabilità civile dei magistrati;
• richieda con urgenza al CSM di procedere all’individuazione dei carichi esigibili al fine di preservare la dignità del lavoro giudiziario, diminuendo il pericolo degli errori derivanti dall’eccesso di produttività;
• richieda al CSM di adottare i medesimi parametri ai fini definire i cd “ standard di rendimento” utilizzati per le valutazioni di professionalità.
Auspichiamo che la Magistratura tutta si trovi questa volta coesa sulla proposta di una reazione forte e decisa alla riforma di prossima approvazione.
Vogliamo ricordare in proposito le parole che, qualche anno prima di cadere per mano della mafia, ha pronunciato Rosario Livatino: “ non esiste atto del giudice e più ancora del pubblico ministero che possa dirsi indolore. Sarebbe quindi inevitabile ch’egli si studiasse, più che di fare un provvedimento giusto, di fare un provvedimento innocuo. Come possa dirsi indipendente un giudice che lavora soprattutto per uscire indenne dalla propria attività, non è facile intendere.. Egli si guarderebbe bene dal tentare vie interpretative inesplorate e percorrerebbe sempre la strada maestra fornita dalla giurisprudenza maggioritaria della Cassazione.. e quando poi la controversia toccasse affari o interessi di dimensioni eccezionali, ogni scelta diventerebbe veramente paralizzante..Questo è l’effetto perverso che può annidarsi nella proposta di responsabilizzare civilmente il giudice: essa punisce l’azione e premia l’inazione, l’inerzia, l’indifferenza professionale. Chi ne trarrebbe beneficio sono proprio quelle categorie sociali che, avendo fino a pochi anni or sono goduto dell’omertà di un sistema di ricerca e di denuncia di un reato che assicurava loro posizioni di netto privilegio, recupererebbero attraverso questa indiretta ma ancora più pesante forma di intimidazione del giudice la sostanziale garanzia della propria impunità” .
Il Gruppo di Magistratura Indipendente