ETICA E MAGISTRATURA
di Aldo Morgigni
Intervento al XXX Congresso dell’Associazione nazionale Magistrati.
27 novembre 2010, Teatro Capranica, Roma.
Trovo triste che si debba parlare di etica ad un convegno di magistrati. Sono entrato in magistratura un anno prima della stagione delle stragi, anzi pochi mesi prima: il clima era un altro.
Oggi discutiamo delle modifiche da parte dell’Associazione nazionale Magistrati ad una normativa deontologica che già avevamo e che trova il suo fondamento nella legge, ma che è rimasta un po' in disparte, perché non ha avuto alcuna concreta applicazione nemmeno a livello di verifica dei comportamenti tenuti. A tale proposito ritengo che l’Associazione nazionale Magistrati dovrebbe costituirsi in “Commissione etica permanente” per prevenire i comportamenti che sono sotto gli occhi di tutti e che non hanno aiutato la Magistratura ad avere l’immagine altamente positiva che ha già avuto davanti all’opinione pubblica e che, sono sicuro, la Magistratura ha effettivamente e tornerà anche a mostrare di avere. La “Commissione etica della magistratura” consentirebbe anche ai semplici cittadini di rivolgere domande e di porre questioni per ottenere risposte in materia deontologica, sul modello di quanto già viene fatto dal Consiglio superiore della Magistratura con le delibere di risposta ai quesiti dei singoli Magistrati.
Per i Magistrati non è possibile limitarsi a valutare solo l’astratta legalità dei loro comportamenti, che è ovvia ed è un presupposto del loro operato quotidiano. La soglia di apprezzamento della condotta del Magistrato, infatti, deve essere anticipata anche alla semplice opportunità di tenere o non tenere un dato comportamento, spesso anche solo nella sua vita privata. È di questo che si parla: ἦθος vuol dire comportamento; l’Etica è la scienza e lo studio del comportamento umano.
Il Codice etico si può sintetizzare in una sola frase, che è riportata nella costituzione, secondo la quale. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore” (art. 54 c. 2° Cost.). Non ci sono altre regole. L’unica regola è che la condotta del magistrato deve essere irreprensibile. Non si può accettare un’altra regola se non come complemento di quest’unica linea guida, che ciascun Magistrato, anzi ciascun soggetto al quale sono affidate funzioni pubbliche, deve sempre rispettare.
Il rilassamento dei costumi è nei fatti: non ci si indigna più per niente. Il parametro che viene offerto all’opinione pubblica dalla politica è (credo di non svelare un mistero) bassissimo. Probabilmente anche l’opinione pubblica non brilla in alcuni comportamenti e in alcuni atti di tolleranza verso comportamenti non apprezzabili sotto il profilo morale.
I Magistrati, tuttavia, non possono limitarsi a ripetere i valori etici che provengono dalla morale sociale del singolo momento storico: gli è richiesto uno standard etico più alto. È un sacrificio, ma è un sacrificio doveroso per chi sceglie liberamente di intraprendere questa nostra attività.
Con riferimento alle modifiche del Codice etico, credo che sarebbe stato facile anche prevedere norme più rigorose. Non sarebbe stato difficile anche strutturare una forma chiara e diretta di controllo dei comportamenti dei Magistrati contrari all’Etica. Il problema del Codice etico è proprio questo: come si fa ad ottenerne un’applicazione effettiva? È giusto ed è utile rimettersi alla semplice sensibilità dei Magistrati interessati? È possibile lasciare l’applicazione della regola proprio a coloro che hanno tenuto il comportamento che viola la regola stessa?
Ho individuato alcuni strumenti normativi per l’applicazione del Codice etico, che discendono direttamente dalla legge, perché il D. Lgs. n. 165/2001 dà all’Associazione nazionale Magistrati il compito obbligatorio di predisporre le norme etiche ed impone ai Magistrati di conoscerle. La stessa legge dà ai Capi degli uffici giudiziari il dovere di vigilare sull’osservanza dei comportamenti previsti nel Codice etico.
Nell’incipit del Codice etico c’è una frase un po' critica nei confronti della legge. Diciassette anni fa, infatti, quando entrò in vigore il D. Lgs. n. 29/1993 che aveva previsto per la prima volta la possibilità di questo strumento, si dubitava della possibilità di prevedere norme etiche conformi a Costituzione che non fossero anche disciplinari. L’Etica, però, si pone sulla soglia rispetto alla disciplina. Fa parte di quel concetto che, secondo la Costituzione, integra l’onore, che non si contrappone ma è complementare alla disciplina.
L’onore è una nozione basilare e indispensabile che deve essere scritta nel D.N.A. di ogni Magistrato.
Non è utile citare episodi di cronaca recenti che hanno visto crollare la fiducia nella Magistratura da parte dell’opinione pubblica, sicché – spesso anche con una certa soddisfazione – si è detto: “allora siete come tutti gli altri! anzi, siete peggio!”. Perciò è bene che cominciamo a discutere dell’etica all’interno della Magistratura ed in primo luogo: qual è il rapporto del Magistrato con il Consiglio superiore della Magistratura?
Questo è un tema che dobbiamo affrontare con chiarezza ed immediatamente. Alcuni esempi.
Riteniamo che il lobbing, che pratichiamo con le telefonate, le richieste di informazioni sia giusto? Se rispondiamo affermativamente dobbiamo necessariamente chiederci: in quali termini e con quali limiti? Penso che sia necessaria una disciplina che preveda la trasparenza assoluta in questo tipo di relazioni che dovrebbero essere formalizzate e svolgersi in modo di non cercare di aggirare le regole previste dalle disposizioni del Consiglio superiore della Magistratura.
Pensiamo che l’intromissione di terzi estranei alla Magistratura nelle decisioni del Consiglio superiore della Magistratura sia normale? Se crediamo che una cosa del genere sia possibile e lecita dobbiamo chiederci: perché, a quale scopo ed in quale misura? Non credo tuttavia che possa essere data alcuna risposta positiva ad una domanda del genere. Gli estranei alla Magistratura, con l’ovvia eccezione dei Componenti eletti dal Parlamento, devono stare fuori dalle decisioni del Consiglio superiore della Magistratura.
Qual è il rapporto dei Magistrati con la politica? Io credo che sia un rapporto di libertà. Se il Magistrato si vuole impegnare in politica lo faccia. Ma è una strada a senso unico. Non credo che sia possibile, ragionevolmente, rientrare a fare il Magistrato dopo anni di politica e avere la stessa immagine di imparzialità che si aveva prima. Lo stesso vale per gli incarichi di altissima amministrazione e sostanzialmente legati da stretto rapporto fiduciario con la politica.
Con una sentenza emessa nel 1998[1] la House of Lords ha stabilito, nel caso relativo all’appello contro l’estradizione in Spagna per crimini contro l’umanità dell’ex Capo di Stato del Chile Augusto Pinochet, che poteva essere accolta la ricusazione di Lord Hoffman – quale componente della Corte – perché la moglie aveva lavorato come assistente amministrativo nell’O.N.G. Amnesty International, ossia un’associazione internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani. Si riteneva, infatti, che ciò potesse pregiudicare l’immagine di imparzialità di uno dei componenti del collegio che doveva giudicare sull’estradizione.
Questo è un livello di standard etico molto alto, sostanzialmente accettato dall’interessato, che io mi auguro che si possa applicare in Magistratura.
Chiudo parafrasando una frase di Ezra Pound, che diceva: “non puoi avere una buona economia con una cattiva etica”.
Io credo che si possa fare solo una pessima giustizia, senza etica.
[1]HOUSE OF LORDS (Lord Browne-Wilkinson, Lord Goff of Chieveley, Lord Nolan, Lord Hope of Craighead, Lord Hutton) - Judgment - In Re Pinochet: OPINIONS OF THE LORDS OF APPEAL FOR JUDGMENT IN THE CAUSE IN RE PINOCHET - Oral Judgment: 17 December 1998 - Reasons: 15 January 1999 - Lord Browne-Wilkinson.