LA GIURISPRUDENZA DISCIPLINARE IN MATERIA DI RITARDI E DI ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI
lunedì, 20 maggio 2013
di Antonio Patrono
LA GIURISPRUDENZA DISCIPLINARE IN MATERIA DI RITARDI E DI ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI
a. Testo della norma e commento sui primi due elementi costitutivi: reiterazione ( superata la questione dell’abitualità), gravità (circoscritta e predeterminata dalla legge, necessità di definitiva chiarezza sul criterio di computo mai affrontato dalla giurisprudenza)
L’illecito disciplinare che sanziona il ritardo nel deposito delle sentenze e degli altri provvedimenti giudiziari è previsto dalla lettera q) del primo comma dell’art. 2 del d.lgv. n. 109/06, che conviene leggere testualmente prima di iniziare la nostra discussione:
costituisce illecito disciplinare “il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto”.
Tre, quindi, sono le condizioni perché il ritardo sia illecito: deve essere reiterato, grave e non giustificato.
Pochi cenni sulle prime due condizioni, che presentano meno problemi interpretativi dell’ultima.
Per quanto riguarda la reiterazione, è intervenuta una pronuncia giurisdizionale delle Sezioni Unite che ne ha rimarcato la differenza con il diverso criterio dell’abitualità. Con sentenza n. 18696 del 13-9-2011 le S.U., infatti, hanno precisato che il requisito sussiste “quando il ritardo si sia verificato più di una volta”, e hanno conseguentemente cassato una sentenza di merito che, in un caso in cui i ritardi erano stati cinque, aveva escluso l’illecito “sul presupposto che il ritardo non fosse abituale”. Ben conosciuto dal diritto penale è il requisito della “abitualità”, che presuppone una assidua frequenza di un certo comportamento, laddove la reiterazione indica solo la ripetizione di esso. E’ ormai acclarato, pertanto, che quantomeno in via astratta anche due soli ritardi possono costituire illecito disciplinare sotto il profilo della reiterazione della condotta, anche se, in concreto, la loro frequenza non è irrilevante perché da essa può dipendere, in concorso con altre circostanze, la giustificabilità o meno della condotta.
E’ la stessa legge che, come si è visto, fornisce l’interpretazione autentica del requisito della gravità del ritardo, che è tale, salvo che non sia diversamente dimostrato, quando abbia superato il triplo dei termini previsti. Prima del decorso di tale termine, pertanto, vige una presunzione semplice, astrattamente superabile da una prova opposta che dimostri che, benchè non sia stato superato il triplo del termine, il ritardo debba comunque ritenersi grave in virtù di altre ragioni.
Sul punto della gravità, peraltro, non risulta essere stato chiaramente precisato dalla giurisprudenza né di legittimità né di merito il procedimento materiale di calcolo del termine c.d. di tolleranza, ovverosia del triplo del termine previsto per il deposito, e in particolare non è inequivocabilmente chiaro da quale momento si debba cominciare il calcolo per determinarlo.
Per quanto a mia conoscenza solo l’ordinanza n. 45 del 2011 della Sezione Disciplinare è entrata nel merito della questione ma in maniera un po’ confusa, perché nel medesimo contesto sembrerebbe indicare come corretto prima un calcolo che escluda dal computo solo il termine ordinario per il deposito del provvedimento, poi anche invece tutto il termine di tolleranza (quindi il triplo di esso). Più recentemente sul tema è tornata la sent. n. 93 del 2012, ma anch’essa non appare risolutiva del problema nella parte motiva.
La questione non è forse di alto livello concettuale ma è di grande importanza pratica perché determina il contenuto concreto dell’incolpazione, quindi l’individuazione di ciò da cui ci si deve difendere, ed è necessario che non vi siano incertezze nei casi specifici, né oscillazioni nei diversi casi analoghi. E’ anche molto rilevante perché l’entità del ritardo può cambiare enormemente a seconda del modo in cui sia calcolato, e lo stesso periodo di tempo puo' dar luogo a un ritardo grave se calcolato in un modo ovvero a nessun ritardo se calcolato in un altro.
Se non ho compreso male, in base alla mia esperienza di difensore in concreto normalmente prevale l’interpretazione per cui il calcolo del triplo debba cominciare subito dopo decorso il termine ordinario per il deposito. Qualora esso sia di 30 giorni, quindi, il ritardo si presumerebbe grave decorsi 120 giorni complessivamente (30 + 90), se fosse 60 diventerebbe grave dopo 240 giorni (60 + 180) e via discorrendo. La soluzione sembra ragionevole sul piano logico e risulta ormai entrata nella pratica più diffusa ( ho letto, ad esempio, una circolare del presidente della corte d’appello di Genova che dettava proprio questo criterio agli uffici del distretto per la rilevazione dei ritardi), ma occorrerebbe però avere la certezza che essa sia adottata sempre e in ogni occasione, a partire da chi sia incaricato fin dall’inizio delle varie rilevazioni (cancellerie giudiziarie, ispettorato del ministero della giustizia) fino ad entrambi i titolari dell’azione disciplinare. In tal senso una precisa affermazione giurisprudenziale, che per quanto mi risulta ancora manca, sarebbe estremamente opportuna con la prima occasione utile.
Affermazione giurisprudenziale che si è avuta, ad esempio, per altre questioni che sono emerse in merito, quale, ad esempio, la detrazione (e quindi l’irrilevanza ai fini del calcolo del ritardo) dei periodi di astensione obbligatoria o facoltativa per maternità (v. ord. n. 4 del 2011).
b. Interpretazione della non giustificabilità: in precedenza valutazione complessiva, irrigidimento con giurisprudenza cambiata per la questione dell’anno a seguito sentenza sezioni unite, valutazione pur sempre discrezionale del giudice di merito circa la sussistenza dei presupposti per l’eccezionalità della conseguenza, problema quindi di applicazione e non di interpretazione, applicazione molto rigorosa della giurisprudenza disciplinare ad esempio per l’irrilevanza delle disfunzioni organizzative, oscillazioni e recenti ammorbidimenti
E veniamo adesso al punto cruciale dell’intera problematica sui ritardi, ovverosia la loro giustificabilità. A questo proposito si deve osservare innanzitutto che, con riguardo a tale requisito, la legge si limita a richiedere che il ritardo sia “ingiustificato”, senza alcuna altra specificazione. Il concetto, come è evidente, è estremamente ampio e alquanto generico, ed ecco quindi che si può fin d’ora affermare che il ruolo della giurisprudenza è stato ed è fondamentale, in questo caso, per riempirlo di contenuto concreto. Non è, pertanto, la norma di legge ad aver imposto i connotati concreti con cui oggi è interpretato e applicato il requisito della “non giustificabilità” dei ritardi, ma è stata la giurisprudenza che l’ha applicata.
A tale proposito, indico subito l’anno 2011 come il vero e proprio spartiacque tra una giurisprudenza anteriore, meno rigorosa, e quella successiva, più rigorosa.
Prima di allora, infatti, ci si era attestati su una valutazione globale e onnicomprensiva di tutte le circostanze, personali e professionali, che potevano aver concorso a determinare i ritardi per verificare se essi potevano essere ritenuti giustificati o meno, senza l’individuazione di alcun limite o criterio rigido predeterminato. Ogni circostanza era liberamente valutata in un’ottica globale, per determinare la giustificabilità o meno del ritardo. Così spesso ritardi anche numerosi ed ingenti erano ritenuti giustificabili sulla base di argomentazioni come quella che si legge nella massima che segue, scelta solo a titolo di esempio anche per tutte le altre simili:
“non configura illecito disciplinare…la condotta del magistrato che depositi fuori termine un significativo numero di sentenze civili, quando risulti che il medesimo versi in una situazione personale, familiare e di ufficio estremamente severa, svolga contemporaneamente una pluralità di funzioni, assicuri una buona produttività, secondo una valutazione anche sotto il profilo comparativo, abbia una positiva storia professionale ed elimini completamente l’arretrato nelle more del procedimento, giacchè dette circostanze giustificano ampiamente i ritardi (nella specie 96 sentenze civili con ritardi in 22 casi superiori ai mille giorni)” – Sezione Disciplinare, ord. n. 13 del 2010.
Solo per scrupolo di documentazione, e senza nemmeno considerare gli anni precedenti, cito ancora le decisioni del 2010 della Sezione Disciplinare nn. 25, 54, 68, 78, 138, che ribadiscono concetti analoghi con riferimento a ritardi ripetuti e così ingenti da superare in molti casi un anno di tempo.
La situazione cambia decisamente con la sentenza delle S.U. n. 18696 del 19 aprile 2011, depositata il 13 settembre 2011, che ha affermato il seguente principio:
“In tema di illeciti disciplinari riguardanti magistrati....la durata di un anno nel ritardo nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali rende ingiustificabile la condotta dell'incolpato, se non siano allegate da quest'ultimo e accertate dalla sezione disciplinare circostanze assolutamente eccezionali che giustifichino l'inottemperanza del precetto sui termini di deposito. Tale termine, infatti, è superiore alla soglia della ragionevolezza perché è ritenuto dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sufficiente, in materia civile, a completare l'intero giudizio di legittimità e, quindi, la stesura di qualsiasi provvedimento ed il suo deposito non possono in genere richiedere tempi superiori a quelli del processo di cassazione che comprende, con gli adempimenti procedurali e lo studio del caso, anche l'ascolto della difesa. “.
Nasce così il famoso termine di un anno, che sarà poi sempre ribadito dalle S.U., e con il quale la Sezione disciplinare del CSM si è dovuta misurare, determinando un cambiamento della sua giurisprudenza, doveroso in termini di accoglimento del principio, ma che, a mio giudizio, non necessariamente doveva portare alle conseguenze cui si e' pervenuti in molti casi concreti.
Si noti, infatti, che la stessa Corte Suprema con la detta sentenza non ha affermato (né avrebbe potuto farlo, a pena di violare irrimediabilmente il principio di ragionevolezza) una presunzione assoluta di ingiustificabilità di una determinata condotta (che non esiste nemmeno nel diritto penale, che conosce infatti le cause di giustificazione applicabili anche, qualora ricorrano, ai più gravi delitti). La ricordata sentenza, in effetti, come ha ben chiarito la stessa Sezione Disciplinare (v. ad esempio sent. n. 94 del 2012) comporta “un mero sviluppo del criterio di proporzionalità tra la gravità dei ritardi e le esigenze di giustificazione”, che non esclude la possibilità che i ritardi stessi possano essere giustificati, sia pure in base a un processo di comparazione con le ragioni che li abbiano determinati piu' rigoroso. E infatti la stessa sentenza n. 18696 ammette la giustificabilità del ritardo superiore a un anno in presenza di “circostanze assolutamente eccezionali che giustifichino l’inottemperanza del precetto sui termini di deposito”, ribadendo il concetto con la sentenza S.U. n. 8409 del 2012 che parla di “fattori eccezionali e proporzionati alla particolare gravità attribuibile alla violazione”.
Rimane, pertanto, una sfera di valutazione del caso concreto che, seppure a condizioni più rigorose che in precedenza, può portare anche adesso a ritenere giustificabile il ritardo anche qualora risulti superiore a un anno. E tale tipo di valutazione rientra nell’ambito di quelle di merito, in fatto, il cui risultato è demandato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità qualora la motivazione risulti adeguata in base ai consueti criteri (testuale conferma di ciò, se pure occorresse, si ravvisa in S.U. n. 5761 del 2012: “In tema di illeciti disciplinari riguardanti magistrati, la fattispecie prevista dall'art. 2, comma primo, lett. q), dell'art. 2 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 richiede, quale presupposto per la punibilità dei ritardi, la necessaria concorrenza della reiterazione, della gravità e della ingiustificatezza degli stessi, attesa la chiara formulazione letterale della disposizione. Ne consegue che tali elementi debbono essere contestualizzati alla luce del complessivo carico di lavoro, in riferimento a quello mediamente sostenibile dal magistrato a parità di condizioni, della laboriosità e dell'operosità, desumibili dall'attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo, e di tutte le altre circostanze utili che, per loro natura, implicano un tipico apprezzamento di fatto e che, quindi, sono essenzialmente devolute alla valutazione di merito della Sezione Disciplinare, non censurabile in sede di legittimità ove assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria.”).
E’ la Sezione Disciplinare, in altri termini, e non la Corte di Cassazione che deve stabilire quando le circostanze che abbiano determinato i ritardi siano da considerare eccezionali, straordinarie oppure no, senza vincoli predeterminati dalla giurisprudenza di legittimità, ma sulla base della comparazione proporzionale tra il “peso” delle giustificazioni e il “peso” delle violazioni, con l’onere, ovviamente, di adeguata motivazione.
Sotto tale aspetto appare quindi destituita di fondamento l’affermazione, che spesso si ripete in sede di commento dell’attuale giurisprudenza della sezione disciplinare in materia di ritardi, che essa sarebbe sostanzialmente “obbligata” in base alla giurisprudenza di legittimità. L’obbligo, infatti, è solo quello di attenersi al principio, ma l’interpretazione e l’applicazione concreta di esso compete al giudice di merito, che conserva un ampio margine di apprezzamento discrezionale, purchè ragionevole e correttamente motivato. E', in sostanza, la giurisprudenza di merito disciplinare che deve stabilire quali siano quelle circostanze eccezionali (che costituiscono, quindi, una eccezione rispetto a quanto accade di solito) o straordinarie ( fuori, quindi, di cio' che accade ordinariamente) che, ricorrendo in concreto, possano tuttora rendere giustificabile qualsiasi ritardo.
La “storia” della giurisprudenza di merito successiva alla ormai nota sentenza delle S.U. conferma l’esattezza di quanto ho appena affermato, perché in realtà, scorrendo le massime delle decisioni della Sezione Disciplinare, si nota una certa oscillazione di posizioni, sua pure caratterizzate generalmente da un considerevole rigore.
Si è partiti, per la verità, da una quasi inesorabilità di risultato, che esclude in pratica qualsiasi giustificazione, specialmente quelle relative ai carichi di lavoro e alle difficoltà organizzative dell’ufficio di appartenenza ( sterminata è la casistica degli anni 2011 e 2012, basta un esempio uguale a tanti altri: Sez. Disc. n. 140 del 2012 “configura l'illecito disciplinare...la condotta del giudice che depositi..numerose sentenze in materia civile con ritardi frequenti, gravi e superiori a un anno...atteso che..sono giustificabili esclusivamente per il verificarsi di situazioni eccezionali e transitorie, tra le quali non possono annoverarsi il particolare carico del ruolo, le carenze organizzative dell'ufficio, la necessita' di sovrapporre attivita' di diversa natura, ne' la consapevole adozione di un modello organizzativo, seppure condiviso dal foro".
Solo negli ultimi tempi si è registrata qualche decisione più “morbida” che ha riconosciuto un certo rilievo alle carenze organizzative, in presenza anche di altre ragioni giustificative, come ad esempio in Sez. Disc. n. 151 del 2012 :” Non integra l’ illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni…la condotta del giudice il quale ritardi il deposito di numerose ordinanze in materia di esecuzione penale concernenti provvedimenti di indulto, qualora debba ritenersi, tenuto conto delle notevolissime carenze di organico dell’ufficio, che il ritardo non sia dipeso dalla tardiva emissione del provvedimento da parte del magistrato quanto dall’assenza di qualsiasi concreto strumento di controllo a disposizione del giudice e dall’ omissione da parte della cancelleria della trasmissione dei relativi fascicoli processuali”, oppure, recentissima e inedita, la n. 34 del 2013 che ha assolto una collega che aveva depositato circa 20 sentenze civili oltre l’anno ritenendo giustificati i ritardi, anche alla stregua dei principi delle S.U., perché causati dalla “iniziale conversione” in diverse funzioni nel passaggio da un tribunale all’altro, da una scopertura di organico nel nuovo ufficio fino al 40%, da carichi di lavoro “estremamente pesanti e confusi”, da “un significativo impegno in attività d’udienza.. per quattro giorni la settimana”, da numerose applicazioni presso altro tribunale, e infine perché, nel periodo in cui erano maturati i ritardi, la collega aveva “dovuto far fronte a una grave malattia della madre”, poi deceduta, aveva dovuto subire personalmente un intervento chirurgico e aveva pure avuto la broncopolmonite!
Certo, non si può augurare a nessuno una simile quantità di guai e di disgrazie nemmeno per ottenere un’assoluzione!
c. Applicazione articolo 3 bis (giurisprudenza S.U. favorevole, applicazioni oscillanti della giurisprudenza di merito)
A mitigare il notevole rigore della disciplina può servire la previsione dell’art. 3 bis della legge disciplinare, in base al quale “l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza”.
Trattasi di una esimente (così qualificata dalle S.U. n. 7194 del 30-3-2011) che introduce nella materia disciplinare il principio di offensività, secondo il quale “la sussistenza dell’illecito va.. riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto effettuato ex post; tale bene giuridico va considerato unico per tutte le ipotesi di illecito disciplinare ed è identificabile… con la compromissione dell’immagine del magistrato” (S.U. n. 25091 del 13-12-2010).
In sostanza, l’esimente dovrebbe ricorrere ogni qual volta gli estremi costitutivi della fattispecie disciplinare sussistano, ma l’immagine (prestigio, considerazione ecc..) del magistrato non ne sia stata compromessa.
L’art. 3 bis si applica a tutti gli illeciti disciplinari, compreso quello in esame. Dubbi al riguardo erano stati posti, ma le S.U. li hanno chiaramente dissipati con la già ricordata sentenza n. 7194 del 30-3-2011:
”l’esimente prevista dall’art. 3 bis.. è applicabile al caso in cui al magistrato venga contestato l’illecito disciplinare previsto dall’art. 2 comma 1 lett. q)”
poi confermata dalla sentenza n. 6327 del 23-4-2012 secondo la quale “la previsione di cui all’art. 3 bis.. è applicabile, sia per il tenore letterale della disposizione e sia per la sua collocazione sistematica, a tutte le ipotesi previste negli articoli 2 e 3… anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo del fatto tipico”, come è nel caso di specie.
La giurisprudenza di merito disciplinare, per la verità, è piuttosto restia ad applicare questo principio, che solo recentemente ha trovato qualche applicazione come, ad esempio, nella sentenza Sez. Disc. n. 152 del 2012 che ha ritenuto non integrare l’illecito disciplinare “la condotta del giudice che ometta di depositare nei termini alcune sentenze in materia civile, con ritardi anche superiori a un anno, quando la non rilevante percentuale dei provvedimenti depositati in ritardo, le comprovate qualità organizzative e professionali del magistrato, la contingente, negativa situazione organizzativa dell’ufficio, consentano di ritenere non compromessa l’immagine del magistrato nell’ambiente giudiziario, e, quindi, di affermare la scarsa rilevanza del fatto ai sensi dell’art. 3 bis”.
Nel contempo, l’esimente è stata negata, ad esempio, in un altro caso (sentenza n. 94 del 2012) ad un magistrato che aveva sopportato un doppio carico di lavoro, presso la sede centrale del tribunale e in una gravosa sezione distaccata, a testimonianza del cui impegno generoso ed apprezzato erano state prodotte attestazioni scritte del presidente del tribunale, del presidente della sua sezione presso la sede centrale, del consiglio dell’ordine degli avvocati, del consiglio comunale del comune della sede distaccata, e addirittura di alcuni avvocati che avevano avuto parte in un processo la cui sentenza era stata depositata in ritardo, tutti indignati alla notizia del procedimento disciplinare a suo carico. Tutto ciò non è stato ritenuto sufficiente, in questo caso, a far ritenere che i ritardi non avevano compromesso l’immagine del magistrato, a testimonianza di un difetto abbastanza frequente della giurisprudenza di merito disciplinare, ovverosia l’eccessiva oscillazione, che talvolta supera i limiti del fisiologico e sarebbe invece necessario limitare il più possibile da parte di un giudice sostanzialmente unico e avente giurisdizione su una platea estremamente limitata di soggetti, oltretutto particolarmente qualificati, ognuno a conoscenza di quanto deciso dalla stesso giudice in casi simili al suo.
d. Valutazione finale: ragione dei dubbi e delle critiche alla giurisprudenza fondate sulla personalità professionale complessiva di molti condannati –dubbi sulla finalità e sulla funzione del rimprovero disciplinare – dubbi sulla capacità organizzativa come interesse tutelato - possibilità correttive attraverso l’interpretazione di merito del principio imposto dalle S.U.- applicazione più diffusa e rigorosa della giurisprudenza di legittimità sull’art. 3 bis – eventuali modifiche normative
Sulle ragioni delle frequenti critiche di eccessivo rigore che i magistrati rivolgono alla giurisprudenza disciplinare di cui si e' finora parlato e' necessario soffermarsi anche perche', a prima vista e specialmente tra i non addetti ai lavori, esse non appaiono immediatamente intuibili. Non vi e' dubbio, infatti, che un ritardo cosi' lungo come un anno nel deposito di un provvedimento possa apparire un'eternita', difficilmente spiegabile, tanto piu' quando non costituisca un caso isolato ma si ripeta con una certa frequenza da parte dello stesso magistrato.
Nel contempo accade pero' molto spesso in casi simili qualcosa di strano, che si comprende soltanto leggendo alcuni passaggi della motivazione di molte sentenze della sezione disciplinare.
Mi e' capitata la ventura di difendere parecchi colleghi per ritardo nel deposito dei provvedimenti, in alcuni casi con successo e in altri no, e mi limitero' quindi alla mia sola piccola casistica personale per le citazioni che seguono.
Nella sentenza n. 141 del 2012 si legge, ad esempio, che "la laboriosita' dell'incolpato e' fuor di dubbio apparendo provata come le sue capacita' professionali ed il suo impegno"; nella sentenza n. 10/2013 si legge che "la documentazione in atti consente di confermare l'indubbia laboriosita', il considerevole carico di lavoro e l'esistenza, nel periodo in esame, di gravi problemi fisici e personali...emerge come il magistrato incolpato, superato il periodo di difficolta' e tornato a operare nel settore penale (in cui ha maggiore esperienza) abbia dimostrata una elevata professionalita' e non sia piu' incorso in ritardi".
La sentenza n. 161 del 2012 afferma che "la documentazione in atti consente di confermare l'indubbia laboriosita' del magistrato e il considerevole carico di lavoro, soprattutto nella fase in cui il magistrato e' stato assegnato alle due sezioni distaccate, e di affermare l'erroneita' della scelta del presidente del tribunale...che ha comportato un evidente squilibrio dei carichi di lavoro dei magistrati dello stesso ufficio"; piu' avanti dalla stessa sentenza si apprende che il magistrato primeggia nel suo tribunale (un grande tribunale) come risulta "da una serie di indici significativi quali il numero delle sentenze emesse nel periodo (mediamente 188,6 l'anno in materie particolarmente complesse e delicate, come quella delle successioni, rispetto a una media di sezione di 135 sentenze l'anno) ed il raffronto con gli standard di rendimento nazionali, determinati dal gruppo di lavoro istituito dal CSM (che vede il dott....primeggiare a livello nazionale)".
Quelli che ho appena letto sono tutti passaggi di sentenze di condanna; prendiamo quindi atto che e' stato condannato anche il magistrato che in Italia ha depositato piu' sentenze di tutti! E' questa evidentemente una situazione limite, ma e' comunque frequente che magistrati condannati per ritardi risultino avere avuto una produttivita' ottima, risulta che si siano trovati in situazioni organizzative difficili e talvolta sbagliate e irrazionali per colpa dei loro dirigenti, dichiarino e dimostrino di aver accettato di assumere piu' sentenze in decisione di quante potessero depositarne in tempi regolari perche', oppressi dal carico di lavoro, non volevano adottare la diversa soluzione di rinvii a piu' lungo termine. Sono queste le ragioni per cui non si sentono colpevoli di niente, ritengono di essere ampiamente giustificati dal contesto generale delle condizioni precarie di lavoro, ed e' anche la ragione per la quale tanti altri magistrati solidarizzano con loro, temendo di potersi trovare nella medesima situazione da un momento all'altro.
Il problema e' di giustizia sostanziale, e non e' di agevole soluzione.
La giurisprudenza attuale, infatti, su un piano formale e' corretta poiche' parte da un presupposto che la rende coerente con tutte le conseguenze che ne trae. Il presupposto e' che il "rimprovero" che si muove ai magistrati colpevoli di ritardi non e' di scarsa diligenza e nemmeno di scarsa laboriosita', ma di scarsa capacita' organizzativa. Sono, in sostanza, considerati responsabili per non essere stati capaci di organizzare il proprio lavoro in modo tale da impedire il verificarsi dei ritardi.
Si potrebbe obiettare che l’articolo 1 della legge disciplinare elenca tassativamente i doveri del magistrato, che sono poi violati in diversi modi dalle fattispecie tipicizzate descritte successivamente, e che fra essi non vi è la capacità organizzativa. Si potrebbe aggiungere che ovviamente non c’è perché, essendo appunto una capacità, intrinseca alla persona e indipendente dalla sua volontà, la sua carenza può avere rilievo in termine di attitudine maggiore minore a svolgere determinate funzioni, ma non anche a fondare un rimprovero di carattere generale come è quello disciplinare.
Ma, soprattutto, si deve osservare che mai, a fronte dell'obiezione che non era possibile fare diversamente, nei casi concreti la stessa giurisprudenza spiega quale avrebbe dovuto essere il modulo organizzativo alternativo. Quel che e' certo e' che oggi si trovano con una condanna definitiva, oltre ad alcuni che lo meritavano davvero, anche altri magistrati laboriosissimi, animati da grande spirito di dovere, e che avvertono con un senso di frustrazione e di scoraggiamento un rimprovero disciplinare che considerano come un'ingiustizia e la cui funzione, francamente, si ha difficoltà a comprendere.
Forse anche in questi casi un'ingiustizia non e', come si e' detto, sul piano strettamente giuridico. Sul piano strategico generale, però, è certamente una cosa sbagliata, perche' ai magistrati manda uno scoraggiante messaggio di solitudine, li avverte che il sistema nel suo complesso non li aiuta quando si trovano in difficolta' ma li punisce inesorabilmente, pretende da loro un “impegno assoluto” e “un'attenzione diuturna “ (espressioni che spesso ricorrono nella giurisprudenza disciplinare) senza pero' assisterli con un'organizzazione accettabile che li aiuti ad affrontare così gravosi doveri. E, in conclusione, li spinge a un'organizzazione "difensiva" del loro lavoro, principalmente volta a coprirsi le spalle da eventuali responsabilita'.
Come si potrebbe evitare tutto cio'?
Secondo me basterebbe, almeno per il futuro, che la giurisprudenza disciplinare di merito, applicando il gia' ricordato " criterio di proporzionalita' tra la gravita' dei ritardi e le esigenze di giustificazione", all'esito di esso pervenisse a giudizi meno rigorosi di quelli oggi frequenti, riconoscendo, solo per fare qualche esempio tratto da casi realmente accaduti e documentati che hanno portato a una condanna, che non e' normale, e quindi e' eccezionale, che un magistrato di prima nomina sia assegnato a due sezioni distaccate oltre che alla sede centrale del suo tribunale, e che non e' ordinario, e quindi e' straordinario, che un civilista sia destinato a comporre il collegio per un maxi processo di criminalita' organizzata e gli sia anche affidato all'ultimo momento il compito di scrivere la sentenza, facendogli cosi' saltare tutti i suoi programmi di lavoro.
Sarebbe anche opportuno che ancora il giudice di merito, al fine di stabilire o meno la sussistenza dell'esimente di cui all'art. 3 bis, verificasse sempre accuratamente e senza pregiudizi quale sia la considerazione di cui il magistrato goda nell'ambiente di lavoro per stabilire se davvero la sua immagine sia compromessa, e se quindi il bene protetto dalla fattispecie disciplinare sia stato davvero violato.
Ma infine, se tutto cio' non dovesse accadere, penso che non rimarrebbe che pensare di ricorrere alla soluzione più drastica, la via legislativa, proponendo in alternativa:
- una rimodulazione della fattispecie disciplinare che specifichi in termini chiari e ragionevoli quando i ritardi siano giustificabili
- ovvero chiarisca, come avviene in altri casi – ad esempio: art. 2, comma 1, lett. a) - , che il fatto sia punibile solo quando avvenuto in violazione di alcuni dei doveri imposti in via generale dall’art. 1, cosicchè sarebbe punibile solo quando fosse dimostrata una concreta carenza di diligenza e di laboriosità
- in alternativa tipizzando, oltre che le fattispecie, anche le cause di giustificazione, valorizzando maggiormente in tale ottica soprattutto la laboriosita' e l'impegno concretamente dimostrati.