Tra pochi giorni si apre il congresso nazionale dell'Anm, previsto a Bari per il 23-24-25 ottobre, dal titolo ''Giustizia, economia, tutela dei diritti. Il ruolo dei giudici nella società che cambia''.
Sia consentita una premessa: l'economia si basa - ovunque - su precisi fattori, il primo dei quali è la demografia. Una popolazione giovane, che aumenta di numero e consuma, allarga il mercato. Da molti anni nei paesi industrializzati prevale al contrario l'invecchiamento. Entro i prossimi anni ci sarà il raddoppio degli ultra sessantenni. L'impatto di questa tendenza si ripercuote non solo sulla crescita economica e sul mercato del lavoro, ma anche sui sistemi di protezione sociale, sul fabbisogno di assistenza sanitaria, sul tenore di vita e sull'equità tra le generazioni, creando notevoli conflitti.
Il secondo fattore che, da sempre, sostiene l'economia è l'innovazione tecnologica, un terreno rispetto al quale abbiamo perduto molto terreno.
Su questi grandi temi l'economia non è stata adeguatamente supportata dalla politica, che per almeno venti anni è stata paralizzata da contrasti e divisioni puramente ideologiche.
Oggi ci ritroviamo senza un piano industriale, con un tessuto produttivo assai fragile e con una incertezza interpretativa delle leggi da cui si generano contenziosi infiniti nei nostri tribunali. Quello delle leggi mal fatte è certamente un primo problema.
Occorre in primo luogo che l'ordinamento statuale, già indebolito dalla velocità dei cambiamenti economici e sociali, offra risposte normative più tempestive, adeguate e convincenti, attuando meccanismi di tecnica legislativa che restituiscano sicurezza e prevedibilità delle decisioni. In parallelo la magistratura deve portare avanti lo sforzo verso un nuovo profilo "interdisciplinare" di approccio alle questioni, ponendosi maggiormente in sintonia con il sistema-paese, ma non può perpetuarsi l'idea che la giurisdizione debba svolgere una funzione di supplenza rispetto alla politica. Il giurista è in una posizione secondaria rispetto al Parlamento, per la semplice ragione secondo cui lavora sul dato positivo, che è la norma di legge.
In altri termini il ruolo della giurisdizione non può essere frainteso come un fattore di competitività del mercato. Se in tempi di crisi la tendenza è alla compressione dei diritti, la nostra Costituzione prevede solidi contrappesi. La Costituzione, non va mai dimenticato, rappresenta un grande patrimonio, afferma valori assolutamente sostanziali e attuali, ha per fondamento il Lavoro, indica i principi della convivenza civile e impone al magistrato di essere il garante del rispetto delle regole.
Sarebbe perciò sbagliato l'atteggiamento dell'investitore che fugge per l'intervento di un giudice che intende ripristinare una regola di legalità non osservata. L'investitore semmai fugge per l'elevatissima pressione fiscale e per l'incapacità dello Stato di debellare corruzione e criminalità organizzata, che permeano vaste aree del territorio con un "fatturato" enorme che sottrae risorse all'economia legale.
È invece certamente condivisibile la necessità di ridurre i tempi della giustizia.
Nel processo civile sono stati varati numerosi provvedimenti che si spera possano produrre buoni effetti. Nel rito del lavoro la riforma Fornero ha impresso ad esempio una forte accelerazione ai giudizi, ma deve essere chiaro che non si può prescindere da un intervento straordinario. Lo ha invocato a chiare lettere ancora pochi giorni fa il vicepresidente laico del Csm Legnini, sollecitando un serio investimento nella prossima legge di stabilità. Le risorse però, almeno per il momento, ancora non si vedono.
Eppure sono note le carenze di organico sia di magistrati che di amministrativi laddove occorre assolutamente evitare che siano vanificate le misure e le riforme fin qui avviate.
È ora di smetterla di additare i magistrati come principali responsabili del malfunzionamento degli uffici, un atteggiamento questo che contribuisce soltanto ad alimentare un clima di generalizzata sfiducia.
La verità è che il giudice non può tempestivamente studiare enormi quantità di atti. Occorre riflettere sul corretto equilibrio tra esigenze quantitative e qualitative dell'attività giurisdizionale. Ecco perché Magistratura Indipendente ha fortemente voluto che una sessione dei lavori del Congresso fosse dedicata ai carichi di lavoro. Una deriva meramente quantitativa rischia di produrre una pesante perdita di professionalità. Ai magistrati viene chiesto di produrre sempre di più, un "fordismo" che però diminuisce l'attenzione verso la qualità delle decisioni. Chiediamoci allora quanti processi un magistrato può ragionevolmente definire scongiurando il rischio di danneggiare i cittadini con valutazioni superficiali.
Il ruolo del giudice si sta trasformando e abbiamo piena consapevolezza di questa trasformazione.
L'economia ha assunto un primato nelle dinamiche sociali che ormai condiziona la vita dei tribunali. Le linee di tendenza sono chiare, ma la posta in gioco è la salvaguardia dei valori della Costituzione e dello Stato di diritto, in altre parole ciò che Renzi chiamerebbe con un tweet "la buona giustizia". Nel dialogo tra impresa e giurisdizione l'auspicio deve dunque essere che diritti ed economia crescano insieme nell'uguaglianza delle opportunità, giacché i Padri Costituenti hanno inteso costruire un rapporto non di gerarchia ma di bilanciamento e integrazione reciproca.
Con l'introduzione del tribunale delle imprese la specializzazione dei magistrati nei settori dell'economia è del resto una realtà ormai diffusa e ampiamente coltivata nei corsi di formazione della Scuola della magistratura.
Ma se la crisi "morde", non per questo i magistrati devono subordinare le proprie decisioni alla contingenza economica del momento, dovendo responsabilmente curare anche la sostenibilità dei propri provvedimenti.
Il magistrato deve essere sobrio, cauto, equilibrato, tempestivo ogniqualvolta possibile, ma nello stesso tempo non deve risultare intimorito dalle conseguenze della propria decisione. In un momento in cui sulla giurisdizione si riversano maggiori aspettative e domande, l'alternativa non può essere il modello del magistrato burocrate.
Le compatibilità vanno dunque sempre ricercate, ma non possono pesare in modo iniquo sui diritti fondamentali, alcuni incomprimibili come quello alla vita e alla salute.
Il legislatore deve fare - e bene - la sua parte risolvendo al più presto i conflitti sociali ed economici in atto. La giurisdizione farà - e bene - la parte di propria competenza. I giudici della Corte Costituzionale hanno già dato il loro contributo: l'ultima sentenza di giugno che ha decretato, dal 2016, lo sblocco del rinnovo dei contratti nel pubblico impiego è stata bilanciata e modulata sia verso il ripristino dei diritti violati che verso le esigenze di stabilità economica del Paese. In 6 anni di blocco 3,2 milioni di dipendenti pubblici hanno perso molto potere di acquisto, che difficilmente sarà recuperato con i modestissimi stanziamenti contenuti nella prossima legge di stabilità.
Giovanna Napoletano, presidente di Magistratura indipendente.