«(I magistrati) devono, nel momento del decidere, dimettere ogni vanità e soprattutto ogni superbia; devono avvertire tutto il peso del potere affidato alle loro mani, peso tanto più grande perché il potere è esercitato in libertà ed autonomia. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società - che somma così paurosamente grande di poteri gli affida - disposto e proteso a comprendere l'uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione. (…) Compito del magistrato non deve quindi essere solo quello di rendere concreto nei casi di specie il comando astratto della legge ma anche di dare alla legge un'anima, tenendo sempre presente che la legge è un mezzo e non un fine».
Rosario Livatino, Fede e Diritto, Relazione svolta nella sala-conferenze dell'Istituto delle Suore Vocazioniste, a Canicattì, il 30 aprile 1986.