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Intervento di Antonio Lepre al Congresso dell’Anm sul tema” Carichi esigibili e autonomia costituzionale del magistrato”

 martedì, 27 ottobre 2015

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Prima di tutto ringrazio la ANM per il prestigioso incarico di relatore conferitomi in occasione del congresso nazionale 2015, nonché tutti voi che avrete la pazienza di ascoltarmi.
Come prima considerazione, con soddisfazione prendo atto che finalmente la questione dei carichi esigibili è ormai entrata a far parte dell’agenda di discussione dell’ANM. Questo è un merito di Magistratura Indipendente che per anni in modo del tutto isolato ha portato tenacemente avanti questa discussione, resistendo anche a critiche spesso ingenerose. Nel contempo, però, si deve prendere atto che, forse, fino ad oggi la questione dei carichi esigibili è stata prospettata in chiave solo sindacale, lasciando in ombra, invece, la vera loro ratio essendi, ratio da individuare in esigenze costituzionali di massima importanza.
In primo luogo si deve, per così dire, mettere ordine nel “linguaggio”, poiché la nozione di carico esigibile fatta propria dall’art. 37, d.l. n. 98/2011 non coincide con quella oggetto del dibattito associativo: infatti, l’art 37 riferisce i carichi esigibili all’ufficio, mentre nel dibattito interno la medesima locuzione indica la necessità di individuare standard o soglie di produttività esigibili dai singoli magistrati nella gestione del proprio ruolo. In questa accezione, quindi, cioè con riferimento al singolo magistrato, la normativa di riferimento va ravvisata nell’art. 11, comma 2, lett. b, e comma 3, lett. e), del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160, secondo cui gli standard di produttività sono uno degli elementi per effettuare la valutazione di professionalità del magistrato.
Si diceva di abbandonare un’accezione semplicisticamente sindacale, per impostare il discorso su basi più ampie e valoriali relative ad interessi più generali.
In particolare, la problematica in esame involge quattro profili rilevantissimi per il funzionamento quantitativo e qualitativo della giustizia.
a)    il carico esigibile come presidio dell’autonomia e indipendenza di cui all’art. 104 Cost.: a tal proposito, è (o dovrebbe essere) noto che nella giustizia amministrativa la nozione di carico esigibile ha iniziato a delinearsi negli anni 1990, al fine di tutelare l’autonomia costituzionale del singolo giudice componente del collegio rispetto al presidente di quel collegio. In quella giurisdizione, con meno tradizione di tutela dell’indipendenza e autonomia del giudice, si colse subito il rischio rappresentato da carichi eccessivi gravanti sul singolo: l’eccesso di lavoro, infatti, genera ansia di smaltimento, problemi di tempestività dei depositi, decadenza qualitativa della sentenza; circostanze tutte che rendono determinante di mantenere “anche un buon rapporto” col presidente di sezione, al fine di una serena progressione in carriera. Questi problemi oggi sono a tutti gli effetti i nostri problemi, essendo quotidiana, oramai, in specie da parte dei più giovani destinati alle sedi più compromesse, la paura di depositare in ritardo le sentenze e le ordinanze, con in più l’ansia di non avere il tempo di leggere adeguatamente le carte: il tutto aggravato da un (giusto) sistema di valutazioni periodiche di professionalità. Tali condizioni di lavoro, tuttavia, cozzano proprio con l’art. 104, 1° comma Cost., poiché è chiaro che solo il parere del presidente di sezione (e, in fase successiva, la comprensione del CSM) potranno dare giusta rilevanza al fatto che quel singolo magistrato ha lavorato gestendo un carico abnorme di lavoro. In definitiva, quindi, la determinazione di una chiara soglia di produttività, per un verso, è strumento di garanzia per l’autonomia del magistrato; per altro verso, è strumento anche di sua trasparente responsabilizzazione, poiché a fronte della esigibilità del risultato si ridimensiona enormemente il rischio di colpevoli ritardi o studi sommari del fascicolo. Del resto, è noto che in taluni uffici periferici  inizia ad affacciarsi in modo concreto il rischio che Presidenti o coordinatori, per così dire troppo zelanti, tendano a fare pressioni sui singoli magistrati per imporre questa o quella modalità di gestione della udienza e del fascicolo, con ciò palesemente entrando in contrasto con l’autonomia costituzionale del singolo;
b)    il carico esigibile come strumento per assicurare una tutela minima a tutti i cittadini senza discriminazioni territoriali: sul punto, mi permetto di rinviare al mio articolo pubblicato sul sito della ANM il 14.7.2015; mi limito in questa sede a dire che è oramai doveroso assicurare ai cittadini – al pari di quanto accade in sanità – dei livelli minimi comuni di tutela giurisdizionale su tutto il territorio nazionale;
c)     il carico esigibile come punto di partenza per una riscrittura della geografia giudiziaria: è di tutta evidenza che solo individuando quanto può produrre tendenzialmente un singolo magistrato è possibile stabilire in modo razionale le piante organiche in base alle sopravvenienze. Esigenza quanto mai impellente, attese le gravissimi e inaccettabili sperequazioni attualmente esistenti – quanto meno per il civile – tra i tribunali in Italia: a fronte di uffici con carichi e sopravvenienze oscillanti tra i 200/400 fascicoli pro capite, abbiamo uffici con carichi anche 5-6 volte superiori
d)    il carico esigibile come “linea di confine” tra la responsabilità del magistrato e della politica (nonché dei dirigenti): una volta stabilito quale produttività è esigibile dal magistrato, senza pregiudizio per la qualità del provvedimento, in tutta evidenza, per quanto in eccesso, scatterà la responsabilità politica e segnatamente del Ministero di Giustizia, che è tenuto a risolvere i problemi del sistema giustizia nel suo insieme; in concorso peraltro, ovviamente, con il CSM e i dirigenti degli uffici. Il giudice ha, infatti, l’obbligo morale, ancor prima che giuridico, di studiare ogni singolo fascicolo in modo appropriato e approfondito, non potendo e non dovendo, però, farsi carico delle disfunzioni del sistema generale a scapito del singolo cittadino in attesa di giustizia: è inaccettabile – moralmente si ripete – l’idea di un magistrato che, per smaltire fascicoli, sorvoli sulla compiutezza dello studio delle carte oppure opti per soluzioni processuali di comodo, quali di inammissibilità et similia per non entrare nel merito delle questioni.
Una volta chiarita la problematica nei suoi risvolti più complessi ne discende manifestamente la pretestuosità delle critiche mosse ai carichi esigibili.
Le critiche possono riassumersi sostanzialmente in due punti essenziali:
a)    la critica (disarmante) del c.d. “numeretto”: in senso critico, si osserva che la valutazione della professionalità di un magistrato non può ridursi ad un “numeretto”, ma deve necessariamente essere qualcosa di più complesso. Ebbene, a tal proposito è agevole osservare che:
-       nessuno ha mai affermato che deve trattarsi di un numeretto: è pacifico che si deve individuare un range di produttività tra un minimo e un massimo; ciò del resto, è stato già fatto dal CSM  proprio in sede di individuazione degli standard di rendimento ai sensi del menzionato art. 11 comma 2, lett. b, e comma 3, lett. e), del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160;
-       nessuno ha mai affermato – vista la palese assurdità – che la valutazione professionale del magistrato debba esaurirsi nel c.d. “numeretto”: non solo ciò non è  mai stato detto, ma è lo stesso d.lgs. n. 160/2006 che detta più parametri di valutazione, di cui quello della produttività ne rappresenta solo un aspetto;
b)    la critica (normativamente smentita) dell’impossibilità di individuare soglie di produttività uniformi sul territorio nazionale:
tale critica è la più grave, in quanto determina una vera e propria errata informazione. Infatti non solo è possibile tecnicamente individuare standard uniformi, ma, soprattutto, ciò è già stato fatto dal CSM ai sensi del richiamato art. 11: l’individuazione di range di produttività su base nazionale in virtù di gruppi omogeni di magistrati è alla base della delibera emanata dal CSM con cui sono stati approvati gli standard di rendimento proprio ai sensi della menzionata normativa.
In conclusione, nulla osta a che siano approvati i carichi di lavoro esigibili da intendersi come soglie di produttività da richiedere ai singoli magistrati.
I gruppi omogenei di magistrati per materia sono stati individuati, così come le relative produttività (residuano alcuni settori su cui la commissione “Misura del processo” non ha avuto ancora tempo di studiare): ad oggi, quindi, la mancata approvazione di tali carichi esigibili è frutto solo ed esclusivamente delle scelte compiute dal CSM, scelte, non a caso, prese a maggioranza e con l’opposizione isolata di Magistratura Indipendente.
                                                                                                               Cons. Antonio Lepre

                                                                                                             Corte di Appello di Napoli 

 
 
 
 
 
 

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