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L'omicidio di Mario Amato e la strategia della tensione

 giovedì, 24 giugno 2010

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Roma, 23 giu. - (Adnkronos) - ''La morte di mio padre rientra nella strategia della tensione, che per quanto mi riguarda e' iniziata con la strage di Portella della Ginestra…''. A parlare e' Sergio Amato. Trenta anni fa i Nar (Nuclei armati rivoluzionari) uccisero il padre Mario, sostituto procuratore della Repubblica al Tribunale di Roma. Lo freddarono con un colpo di pistola alla nuca, la mattina del 23 giugno 1980 alla fermata del 391 in viale Jonio, mentre aspettava l'autobus per andare al lavoro perche' la sua auto era in riparazione dal meccanico. Il giudice aveva chiesto una macchina di servizio, ma gli era stata negata: alle 8 del mattino il regolamento dell'ufficio non prevedeva un turno degli autisti. Era l'unico magistrato che si occupava dei processi sul terrorismo nero. Aveva ereditato i fascicoli dal collega Vittorio Occorsio, ucciso da 'Ordine Nuovo'. Il figlio, che allora non aveva ancora compiuto sei anni, racconta oggi all'ADNKRONOS nell'anniversario della morte: ''Ricordo molto bene quella giornata anche se ero molto piccolo. Ricordo chiaramente il pianto di mia madre, i familiari che si sono stretti accanto''. Sergio Amato non vuol sentir parlare di spontaneismo armato, ha un'idea precisa del clima di quegli anni. ''Ma quale spontaneismo! Fioravanti e Mambro erano solo la mano armata dei Nar, ne sono convinto'', dice, lasciando intendere che ci fosse un livello superiore del gruppo eversivo di estrema destra.
''Mio padre -spiega- aveva capito che non bisognava semplicemente cercare di fermare questi ragazzi, ma chi teorizzava la destabilizzazione dello Stato. Penso a un super Sismi, ai servizi segreti deviati, che ricorrono sempre in tutte le stragi di questo paese. Avevano un interesse totalizzante nel depistare e nel non far conoscere la verita', ma ci siamo fermati a questo. Non sappiamo perche' e che cosa volevano nascondere. Amato non ha dubbi: ''C'entra anche la P2. Sono convinto che sia tutto collegato, la morte di mio padre prima (il 23 giugno 1980), la strage di Bologna dopo (il 2 agosto). Aveva indagato e scoperto delle cose, sono sicuro''.
Secondo Amato ''c'e' ancora moltissimo da fare, non abbiamo ancora capito chi ha mosso le fila in quegli anni, chi era la mente che lavorava per destabilizzare lo Stato e usava questi giovani di estrema destra e sinistra per uccidere e destabilizzare appunto... Mio padre aveva un modo di indagare tutto suo, prendeva sempre appunti, non lasciava nulla di intentato. E' stato un precursore anche sul piano investigativo. Da fatti e sigle diverse era riuscito a creare un quadro piu' omogeneo''. Sergio Amato non usa la parola perdono nei confronti di chi ha ammazzato il padre: ''Provo sentimenti contrastanti. Da una parte, un sentimento quasi d'amore, per evitare che l'odio prenda il sopravvento, dall'altra, non nascondo che ho pensato piu' volte di inseguirli, pedinarli e colpirli, come hanno fatto con mio padre. Credo che debbano ritenersi molto fortunati''.
Assicura che lo Stato non ha abbandonato la sua famiglia, ma non e' stato facile: ''Non e' mancato sicuramente il sostegno materiale, ma le cose non sono cosi' automatiche come si puo' pensare''. Una cosa e' certa, il figlio del giudice Amato non ha mai perso la fiducia nella giustizia: ''Nel corso di tutti questi anni le associazioni dei familiari delle vittime hanno cercato giustizia. Smettere di cercare giustizia, di cercare la verita', sarebbe rinunciare alla verita'''.
La morte di Mario Amato suscito' una protesta senza precedenti: il giorno dopo i magistrati romani proclamarono uno sciopero a oltranza e l'astensione dalle udienze per due settimane provoco' il rinvio di circa 4 mila dibattimenti, costringendo il governo Andreotti a correre ai ripari per garantire la sicurezza delle toghe. Fu redatto un elenco di magistrati piu' a rischio (178). Per loro si disposero scorte, controlli sotto casa e aumenti di stipendio. Il 28 giugno il ministero della Giustizia fece arrivare le prime auto blindate. 
 

 
 
 
 
 
 

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