Ed infatti, proprio il 31 ottobre scorso, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del regolamento 1939/2017, ha visto la luce l'ufficio della Procura Europea, generalmente noto con l'acronimo di EPPO, dalla versione inglese del nome dell'ufficio (European Public Prosecutor Office).
Si tratta del più avanzato stadio di creazione dell'area di giustizia penale comune nell'Unione, dato che l'EPPO è un vero ufficio di procura addetto a condurre indagini penali. Non un ufficio di coordinamento, quindi, come Eurojust; non un ufficio per indagini amministrative, come l'OLAF, ma, appunto, un ufficio di indagini penali.
Il campo nel quale l'EPPO avrà competenza a condurre tali indagini lo si potrebbe, forse, comprendere senza bisogno di ulteriori spiegazioni se si ha avuto la pazienza di leggere le precedenti schede di questo lavoro: è esattamente la tutela degli interessi finanziari dell'Unione, la c.d. “area PIF”, le frodi alle entrate ed alle uscite del bilancio dell'Unione, che si conferma così il settore più vivace e maggiormente interessato dalla creazione di una autentica area di giustizia penale europea.
Ad oggi, la istituzione dell'EPPO completa un percorso che si può fare iniziare dalla sentenza della Corte di Giustizia del “mais greco” nel 1989; trent'anni nei quali il diritto penale dell'Unione è nato e si è sviluppato, sempre nell'ottica della creazione di uno spazio giuridico e giudiziario comune che oggi vede, seppure non ancora del tutto, la luce.
Tuttavia, e rinviando ogni commento più approfondito ad altri scritti non essendo lo spirito di questi brevi commenti quello di analisi particolarmente complesse ed analitiche, non si può esultare fino in fondo per l'approvazione del regolamento sulla creazione dell'EPPO perché, ad essere onesti, qualche passo ulteriore avrebbe potuto essere compiuto. Il regolamento EPPO, infatti, origina da una proposta della Commissione Europea del luglio 2013 (COM (2013) 534 del 17 luglio 2013).
Ora, se si confronta il testo della proposta della Commissione e quello del regolamento finale, si notano significative differenze. Una delle più importanti, di rilievo anche simbolico, è che la proposta, all'art. 25, prevedeva espressamente che, ai fini delle indagini dell'EPPO, il territorio dell'Unione si doveva considerare come un’unica area giudiziaria (a single legal area). Una norma di questo tipo rappresentava veramente la consacrazione del concetto di spazio giuridico comune europeo.
Tale norma, però, nella versione finale del regolamento, non compare. Gli Stati, in sede di iter legislativo per l'approvazione del testo, la hanno considerata troppo avanzata, espressione di un concetto sul quale non tutti sono completamente d'accordo. Prova ne è anche il fatto che non tutti i 27 Stati dell'Unione (non contando ormai più il Regno Unito prossimo alla Brexit) hanno deciso di entrare a fare parte del nuovo ufficio. L'EPPO è stato così approvato, come prevede l'art. 86 del TFUE, con cooperazione rafforzata, cioè con quella particolare modalità – secondo alcuni espressione del concetto di “Europa a due velocità” - che consente una più stretta condivisione di alcune materie solo agli Stati che hanno tale volontà. L'EPPO coinvolge così, oggi, 20 Stati Membri, essendone rimasti fuori, oltre al Regno Unito, anche l'Irlanda e la Danimarca (che già secondo il Trattato godono di un regime diverso in materia di giustizia), ma anche la Polonia, Malta, la Svezia e l’Ungheria, oltre a, solo in parte sorprendentemente, uno Stato fondatore della CEE come i Paesi Bassi.
Venti Stati, comunque, non sono pochi per l'operatività di un ufficio che, come si è detto, avrà il compito di svolgere – peraltro in taluni casi ripartendosi il compito con le autorità nazionali - indagini penali nel campo della tutela degli interessi finanziari dell'Unione. L'art. 86 TFUE prevede che l'EPPO sia costituito “a partire da Eurojust”, sebbene, come detto, molto della sua attività sia, ugualmente, anche accostabile a quella dell'OLAF, atteso che, fino ad oggi, è stato solo quest'ultimo organismo a svolgere indagini nel settore PIF, per quanto di natura amministrativa.
L'EPPO sarà composto, a differenza di quanto prevedeva la proposta del 2013, da un ufficio centrale, con sede in Lussemburgo, che vedrà la partecipazione, a questo punto, di venti procuratori, uno per Stato Membro. Le indagini, però, saranno svolte prevalentemente, e anzi direi esclusivamente, a livello locale, dai procuratori europei delegati, procuratori che dal punto di vista amministrativo sono magistrati nazionali e tali continuano a rimanere, ma che, nel momento in cui tratteranno “casi EPPO”, operativamente apparterranno all'ufficio europeo. Le nomine sia dei procuratori centrali che dei procuratori delegati saranno essenzialmente di competenza europea, sebbene con distinzioni tra le due categorie, e questo sarà uno degli aspetti su cui gli organismi nazionali di governo del potere giudiziario, o di autogoverno, potranno incentrare la propria attenzione, atteso che magistrati nazionali saranno nominati per svolgere indagini da uffici, quali quelli europei, extragiudiziari.
Il punto critico dell'intera “costruzione” dell'EPPO è, però, come ben si può comprendere, quello delle indagini transnazionali. Per potersi parlare di autentica area comune europea, infatti, occorrerebbe in via di principio l'applicazione delle stesse regole processuali indipendentemente dallo Stato in cui l'indagine viene svolta, soprattutto una volta che si è costituito un ufficio unitario di indagine.
Il regolamento, invece, non prevede una sorta di codice di procedura penale europeo. Anche la proposta del 2013, a dire il vero, non conteneva qualcosa di simile, ma, tuttavia, tentava almeno di dare una disciplina unitaria ad alcune misure investigative.
Il problema pratico è, allora, quale legge sia applicabile allorché il procuratore delegato operante uno “Stato EPPO” debba eseguire atti di indagine in un altro “Stato EPPO”, e quindi sempre all'interno dell'area territoriale facente parte dell'Ufficio.
La soluzione del regolamento è certamente più avanzata di ogni strumento di cooperazione fino ad oggi in uso, anche dell'ordine investigativo europeo.
L'art 31 del regolamento prevede infatti che il procuratore europeo delegato che sta trattando l'indagine “assegni” il caso al collega, anch'egli procuratore europeo delegato, del diverso “Stato EPPO” in cui devono essere compiuti gli atti investigativi. Si tratta quindi di un linguaggio che lascia intendere davvero l'unità dell'ufficio al di là delle barriere geografiche. Tuttavia, in mancanza di una legge processuale comune, il regolamento cerca un difficile equilibrio tra lex fori e lex loci, tendendo a privilegiare la prima (anche per ragioni di utilizzabilità) ma senza pregiudicare il diverso livello di garanzie che può essere previsto nelle legislazioni nazionali.
Questo, però, è certamente un sistema che non è espressione di un'area giuridica completamente comune, la “single legal area” cui faceva riferimento la proposta, perché lascia sussistere le differenze che le leggi nazionali possono prevedere riguardo alla adozione ed esecuzione delle singole misure investigative. La contraddizione di questo sistema con l'unitarietà dell'ufficio investigativo stride, quindi, ancora maggiormente.
Piuttosto macchinoso appare anche il sistema decisionale all'interno dell'indagine, atteso il coinvolgimento (art 35 ma non solo) delle “camere permanenti” a livello centrale, composte ovviamente anche da procuratori appartenenti a sistemi giuridici diversi da quelli degli Stati nei cui territori si è svolta l'indagine, ed alle quali spettano decisioni importanti, quali quelle sulla chiusura dell'indagine stessa. La compatibilità di un sistema quasi “collegiale”, all'interno di un ufficio investigativo e nella fase di indagine, con le esigenze di speditezza e rapidità della stessa è tutto da verificare e solo la pratica dirà quanto sia efficace nel contrasto ai reati che l'EPPO deve perseguire.
Infine, come previsto dai Trattati, l'azione dell'EPPO si ferma alla chiusura dell'indagine, mentre tutta la fase processuale resta una fase puramente nazionale, regolata dal diritto di ogni Stato.
In questi casi, il dilemma se sia meglio partire con qualcosa di imperfetto, ma intanto esistente, o attendere un testo di legge che corrisponda pienamente all’ideale di riferimento, è sempre presente. Certamente, ipotizzare anche solo dieci anni fa - dopo il fallimento del Trattato costituzionale europeo del 2004 a seguito dei referendum in Francia e Olanda del 2005, la concreta istituzione della Procura Europea sarebbe stato molto difficile, per quanto la stessa fosse già oggetto di studi ed analisi, tra i quali non si può dimenticare il c.d. “Corpus Iuris”, del 1997-2000, progetto diretto dalla prof. Delmas Marty, e, in epoca molto più recente (2011-2012), il progetto per la creazione di “model rules” per l’EPPO, diretto dalla prof. Ligeti della Università del Lussemburgo. Da questo punto di vista, quindi, il raggiungimento di un traguardo come l’approvazione del regolamento istitutivo dell’Ufficio non può che essere motivo di grande soddisfazione per chi ha a cuore l’integrazione europea e la creazione di una autentica area di giustizia penale nell’Unione.
D’altro canto, proprio il raggiungimento di un tale traguardo, che per certi aspetti si può veramente definire storico, porta con sé il rammarico del fatto che, se l’ufficio poteva essere istituito, ciò doveva avvenire con modalità che fossero veramente piena espressione di quel concetto di area giuridica comune cui si è fatto sopra riferimento. Ciò non è completamente avvenuto e alcuni aspetti del futuro funzionamento dell’EPPO, quali i rapporti con le autorità nazionali, nonché con gli organismi europei Eurojust ed OLAF, restano da verificare in concreto.
I prossimi anni ci diranno, quindi, se e come l’EPPO si sarà sviluppato.
In ogni caso, la storia del diritto penale europeo non si fermerà a questo punto, e prossimi capitoli dovranno essere, verosimilmente, scritti presto.