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Le cause della lunghezza del processo penale in Italia di Antonio Patrono

 martedì, 13 marzo 2012

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Antonio Patrono
Le cause della lunghezza del processo penale in Italia
 
  Il processo penale accusatorio è stato introdotto in Italia oltre venti anni fa.  Da allora è stato modificato mille volte dal legislatore che ha cercato disperatamente di porre rimedio agli inconvenienti che di volta in volta si mostravano più evidenti, e molto spesso anche ad opera della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di molte sue disposizioni.
  Ormai è possibile trarre un bilancio del suo funzionamento, che è francamente abbastanza sconfortante. Gli intenti di garanzia che erano stati perseguiti sono stati in parte realizzati, ma il bilancio è decisamente orientato in senso negativo a causa della moltiplicazione dei processi che ha prodotto e della loro estrema lunghezza media, che ha comportato l’applicazione più diffusa dell’istituto della prescrizione che si sia probabilmente mai vista e quindi una sensazione di “casualità” della risposta giudiziaria alla violazione delle leggi che, alimentando le speranze di impunità quasi per tutti i reati, contraddice e svaluta quasi del tutto la funzione di “prevenzione” generale che dovrebbe costituire il primo obiettivo di ogni serio sistema penale.
  Perché è accaduto tutto ciò? Ovviamente tutti se lo chiedono e, soprattutto, molti propongono i più svariati rimedi, che ogni volta che vengono sperimentati falliscono invariabilmente l’obiettivo. Sembra quasi che vi sia un’insormontabile difficoltà, a monte del problema, a comprendere le ragioni del malfunzionamento del processo penale in Italia. C’è chi accusa i magistrati di lavorare poco e male, e quindi il problema si risolverebbe modificando le norme di ordinamento giudiziario. E’ stato approvato un nuovo ordinamento giudiziario, ma non è cambiato nulla. C’è chi dice che il problema sono i troppi avvocati, ma dimentica che anche in America gli avvocati sono moltissimi, proporzionalmente quasi come da noi, eppure il sistema funziona. C’è chi pensa che tutto l’inghippo si nasconda nelle pieghe del codice di procedura penale, e che quindi basti cambiare qualche norma, certo importante ma di dettaglio se vista nel quadro del sistema generale (le notifiche, le nullità), per risolvere ogni problema. C’è chi dice che occorrano maggiori investimenti per la giustizia, ma risulta invece che l’Italia, tra gli stati europei, è tra quelli che vi investe maggiori risorse.
  Chi ha studiato più da vicino il sistema americano, che è quello che ha costituito il modello della riforma processuale in senso accusatorio, pensa invece, e probabilmente a ragione, che per capire l’accaduto basti ricordare ciò che da subito si disse venti anni fa allorchè si ragionava sulle possibilità di riuscita o meno del nuovo processo. Si disse allora che il dibattimento accusatorio, con la formazione della prova nel contraddittorio delle parti, è così lungo e complesso che nessun sistema è in grado di sostenerlo se non in un numero limitato di casi, orientativamente in non più del 10% complessivamente delle azioni penali esercitate, e occorre quindi che il 90% dei casi sia risolto in altro modo. E per questo, si disse allora, il fulcro del sistema avrebbe dovuto essere costituito dai riti alternativi al dibattimento, che nel processo italiano furono delineati soprattutto con il rito abbreviato e il patteggiamento.    
  Oggi, secondo le statistiche a disposizione, la percentuale di procedimenti che sono definiti con un rito alternativo al dibattimento non raggiunge nemmeno il 40% del totale dei casi, e ciò vuol dire che il numero di dibattimenti da celebrare ogni anno è enormemente superiore a quello che qualsiasi sistema accusatorio può reggere. E’, questo, un risultato in controtendenza rispetto a quanto accade nei Paesi di cultura giuridica anglosassone, che conoscono e praticano il processo accusatorio da secoli, e occorre chiedersi perché.
  La ragione di tutto ciò risiede probabilmente nella circostanza che in Italia si è copiato solo un segmento dell’intero sistema accusatorio, il dibattimento, la cui obiettiva lunghezza e complessità negli altri paesi che lo adottano è compensata da tutta una serie di accorgimenti, sempre orientati all’unico fine di limitare il numero di dibattimenti, che da noi invece non esistono.
  In estrema sintesi è possibile ricordarli.
  Innanzitutto in America vige il criterio della discrezionalità dell’azione penale, sia a livello federale che a livello statale, e ciò consente in teoria di “programmare” la maggiore o minore incisività  dell’azione stessa anche in base alle concrete possibilità di smaltimento e di definizione in tempi ragionevoli del carico di lavoro sostenibile. Soprattutto, in quest’ottica, risulta utile la possibilità che il pubblico ministero, in presenza di plurimi reati commessi dalla stessa persona, possa decidere di procedere soltanto per alcuni di essi, evidentemente i più gravi, tralasciando di avviare processi anche per reati minori connessi o comunque in qualsiasi modo “corollari” della condotta criminale principale. Le linee guida per l’esercizio dell’azione penale federale, ad esempio, che racchiudono i criteri ai quali i procuratori federali devono attenersi nell’esercitare la loro discrezione in materia, espressamente richiamano l’esigenza di valutare la convenienza di una pronta e sicura decisione della causa, il risparmio delle spese dell’eventuale processo e la necessità di evitare ritardi nella decisione di altre cause. Si legge testualmente, nelle istruzioni ai pubblici ministeri federali, che è loro dovere tener conto dei costi relativi alla giuria e ai testimoni, ma anche del tempo speso dai giudici, dagli stessi pubblici ministeri e da tutto il personale amministrativo necessario per la verbalizzazione e per ogni altra assistenza al processo.
  Ma in realtà non è questa la ragione principale del differente “rendimento” delle due procedure, perché la percentuale del solo 10% di dibattimenti celebrati in America si riferisce alle azioni penali esercitate, senza tener conto, quindi, dei casi che a monte non hanno mai partorito un processo perché caduti prima sotto la “scure” della discrezionalità. Sono altre le differenze, davvero enormi, sul piano più strettamente processuale che comportano tale risultato.
  Proviamo solo a elencarle in estrema sintesi.
  L’imputato, a differenza che in Italia, deve essere sempre presente al dibattimento, in genere in stato di arresto. Si risparmia il tempo dei processi con imputati contumaci,  non esistono problemi di notifiche una volta iniziato il processo, e sono ovviamente da ciò scoraggiate tutte le richieste di rinvio dell’udienza e ogni altra pratica volta ad allungarne i tempi.
  L’imputato, a differenza che in Italia, se accetta di rendere dichiarazioni non può mentire, a pena di gravi sanzioni. Ciò facilita l’accertamento della verità e, normalmente, elimina i tempi necessari per la verifica di alibi o altre circostanze falsamente prospettate.   
  La decisione è di regola affidata ad una giuria popolare, che emette un verdetto senza motivazione sulla responsabilità dell’imputato. Ciò elimina i tempi, spesso molto lunghi, per la stesura della motivazione scritta.
  L’unica alternativa al dibattimento in America è la dichiarazione di colpevolezza dell’imputato, che chiude immediatamente il processo con l’unica incombenza successiva della determinazione della pena da parte del giudice. In Italia, invece, nemmeno la confessione ferma il processo, e comunque i riti alternativi, che da noi sono la vera alternativa al dibattimento, quantomeno nel caso del giudizio abbreviato sono comunque generalmente lunghi e anch’essi notevolmente complessi.
  La sentenza di primo grado, a differenza che in Italia, è immediatamente esecutiva, e ciò esclude l’interesse ad appellare con l’unico scopo di ritardarne l’esecuzione, come invece avviene spesso da noi.
  Non è praticabile l’appello generalizzato per ridiscutere il merito della sentenza di primo grado, e ciò  esclude la possibilità di fare appello nella maggior parte dei casi per cui ciò avviene in concreto in Italia.
  In ogni caso il processo di appello deve essere preceduto da una verifica di ammissibilità, che   risparmia i tempi per la celebrazione di processi di secondo grado basati su motivi palesemente infondati.
  Non esiste il ricorso per Cassazione, da noi inteso quasi come un terzo grado di giudizio generalizzato in base a motivi di ricorso dalle maglie molto larghe, che ammettono anche considerevoli interferenze sul merito della questione decisa dai primi giudici. L’inesistenza del ricorso per cassazione risparmia il tempo necessario per la sua celebrazione, anticipando il passaggio in giudicato della sentenza.
  La prescrizione del reato non è più possibile una volta iniziato il processo, il che ne favorisce la più sollecita definizione escludendo ogni interesse dell’imputato a dilatarne i tempi.
  Il patrocinio a spese dello Stato, a differenza che in Italia,  è assicurato generalmente da avvocati facenti parte di un apposito ufficio pubblico e retribuiti con uno stipendio, il che esclude in radice in questi casi qualsiasi loro interesse a perseguire tattiche processuali dilatorie e a moltiplicare le impugnazioni.
  I benefici penitenziari sono molto più limitati e meno generalizzati che in Italia, il che rende più conveniente per l’imputato colpevole cercare di ottenere la pena più bassa possibile ammettendo subito la sua responsabilità.
  In sintesi, il risultato fondamentale di tutte queste differenze è che, a parte risparmi di tempo impliciti nella procedura americana, l’imputato colpevole in quel Paese non ha alcun interesse a perdere tempo perché non può ottenere nulla dalla dilatazione dei tempi del processo: né la prescrizione, né il rinvio dell’esecuzione della sentenza, né la possibilità di plurimi ricorsi con la speranza di vedersene accolto almeno uno. Da ciò discende che egli, invece, ha tutto l’interesse ad ammettere subito la sua responsabilità per così godere dei benefici in  termini di pena che dipendono da tale scelta. 
  Ciò spiega a sufficienza, per chi voglia ragionare in termini tecnici e scevri da pregiudizi e interessi politici o ideologici, perché la giustizia italiana sia molto più lenta di quella americana e di quelle, simili a quest’ultima, di tutti gli altri Paesi che hanno adottato il modello accusatorio nel sistema penale.
  Altro tema, invece, è quello dell’efficacia sostanziale, ovverosia della capacità di pervenire al risultato più giusto, dei due diversi sistemi, poiché non è affatto detto che quello più rapido sia anche il “migliore” in assoluto anche sotto questo aspetto. E forse proprio la consapevolezza di ciò spinse il legislatore italiano, nel 1988, a non “tradurre” l’intero sistema accusatorio nel nostro Paese, ma ad importarne solo la parte più garantista, ovverosia la formazione della prova nel dibattimento nel contraddittorio delle parti. Purtroppo, così facendo, si è avuto un effetto insostenibile di moltiplicazione di garanzie, aggiungendo a tutte quelle del sistema inquisitorio (specie il regime delle impugnazioni), volte proprio a rassicurare circa la possibilità di correggere eventuali errori decisori di un giudice quasi onnipotente, anche quella fondamentale del processo accusatorio costituita invece proprio dall’assenza di poteri decisori del giudice e dalla prevalenza dell’azione delle parti e della giuria popolare. Come è ovvio ogni garanzia costa, in termini di soldi e di tempo, e il sistema italiano, gravato da tutte le garanzie possibili e immaginabili, è così esploso, in termini di costi e di tempi.
  Ben si comprende come un’analisi come quella appena svolta, se risultasse giusta, porrebbe problemi immensi. Se le cose stessero nei termini prospettati, infatti, qualora si volesse por mano a seri tentativi di cambiamento in termini di “riequilibrio” del sistema, dovrebbero necessariamente adottarsi  scelte di campo molto nette, non essendo sufficienti a risolvere problemi tanto grandi né rimedi processuali limitati a qualche modifica di dettaglio, né moduli organizzativi diversi da quelli attuali del tutto irrilevanti nella fattispecie, né investimenti materiali che, per quanto ingenti, mai arriverebbero a coprire i fabbisogni di un sistema intrinsecamente irrazionale.
  D’altronde, far finta di non vedere e non comprendere la realtà e continuare a coltivare la vana speranza di vaghi miglioramenti con soluzioni approssimative e inefficaci non è certo sintomo di coraggio e di senso di responsabilità.  
 
 
 
 
 
 
 

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