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Le proposte dei componenti eletti

 domenica, 8 novembre 2020

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Riunione di insediamento del Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati del 7 novembre 2020

Le proposte dei componenti eletti di Magistratura Indipendente e di Movimento per la Costituzione

  1. Correntismo

La nuova A.N.M. dovrà, attraverso un’azione che rifletta le diversa anime dell’associazionismo e ne racchiuda tutte le sensibilità, operare con discontinuità nei contenuti e nei metodi se vuole essere una rappresentanza nuova, apolitica, che pone al centro della sua azione la tutela dei magistrati e i temi sindacali, e per questa ragione l’azione associativa non potrà essere mera riproposizione di tatticismi finalizzati a uniformare le diverse anime associative attorno ad un pensiero unico al quale tutti devono omologarsi, a dispetto degli stessi principi e scopi statutari che ne delimitano l’essenza.

L’insediamento di una nuova ANM, che sia interlocutore credibile per gli altri soggetti istituzionali del Paese, passa necessariamente attraverso la condivisione da parte di tutti i gruppi associativi di un documento che analizzi la crisi dell’associazionismo derivante dalle vicende che hanno interessato il CSM e l’ANM nell’ultimo anno.

Con l’auspicio di una larga convergenza, formuliamo la seguente proposta di delibera per il neo-costituto CDC:

<<L’attività associativa, nella pluralità delle sue articolazioni interne, non deve degenerare in “correntismo”; non deve servire ad esaltare un senso di “appartenenza” funzionale a sostenere i percorsi di carriera dei colleghi; non deve influire sulle autonome scelte del Consiglio superiore.

La degenerazione di tutte le correnti, trasformate da luogo di elaborazione culturale in circuiti di scambio clientelare, quale emersa dalla diffusione delle chat intrattenute da Luca Palamara che hanno disvelato deteriori prassi trasversali a tutti i gruppi, deve essere analizzata senza ipocrisie, avviando una revisione critica che, muovendo dalla pari dignità di tutti i gruppi, sia diretta alla rivalutazione etica e culturale della associazione in modo da restituire ad essa credibilità e autorevolezza.

V’è (confidiamo) consapevolezza diffusa a riguardo, tant’è che anche il gruppo di M.D. ha da ultimo affermato che “…la difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e la ricostruzione della credibilità della funzione giurisdizionale e della sua legittimazione democratica non possono considerarsi esaurite con la sola espulsione di Luca Palamara e con l’accertamento delle responsabilità disciplinari. Neppure vogliamo accontentarci della narrazione che distingue tra gravità delle colpe e dei comportamenti e accredita purezza solo in alcuni gruppi e non in altri. Riteniamo, infatti, che al centro della crisi vi siano questioni di fondo che coinvolgono tutta la magistratura...”

Il C.D.C. pertanto, ritiene prioritario, per il rilancio dell’attività associativa e per il recupero della fiducia dei colleghi nell’ANM, impegnarsi attivamente nel superamento di ogni fenomeno di degenerazione correntizia con la consapevolezza dell’erroneità di un’impostazione volta a condurre una graduazione delle colpe, mitigandole per alcuni gruppi rispetto ad altri, essendo indubbio che l’analisi delle disfunzioni coinvolge, e chiama in causa, tutta la magistratura associata.

Ciò presuppone il reciproco riconoscimento della pari dignità, della storia e dei valori culturali di ogni gruppo associativo e di ogni movimento che qui trova rappresentanza, e della pari capacità di ciascuno di essi di contribuire ad una rifondazione dell’ANM.

Per realizzare l’obiettivo programmato, saranno subito istituite due commissioni di studio: la prima relativa a proposte di riforma del T.U. sulla dirigenza (con la finalità di recuperare maggiori spazi di prevedibilità delle decisioni consiliari e di valorizzare, in termini di raffronto col “fuori ruolo”, l’attività svolta dal magistrato dentro la giurisdizione, la pluralità delle esperienze, nonché il parametro dell’anzianità di servizio senza demerito), l’altra per la riforma del sistema elettorale del CSM (con la finalità di incidere radicalmente sul rapporto tra le correnti interne alla magistratura e i candidati al CSM, valutando l’attuale proposta di modifica che elimina il collegio unico nazionale e mira a un recupero del rapporto di conoscenza diretta tra i candidati al CSM e gli elettori, ma non escludendo, al fine di vagliare comunque tutte le possibili alternative configurabili, l’analisi delle modalità di realizzazione e gli effetti riconducibili al sistema del cd. sorteggio temperato, che introdurrebbe una criterio di imprevedibilità nella prima fase di scelta dei possibili candidati al CSM), con lo scopo di addivenire, entro e non oltre due mesi da oggi, a una mozione conclusiva da sottoporre al vaglio dello stesso CDC>>

  1. L’ANM non ha carattere politico: comunicati della GEC

L’A.N.M. per essere un interlocutore serio e credibile non deve porsi quale soggetto politico oppositore o collaterale a questo o quel governo; non deve essere lo strumento per affermare tesi e posizioni ideologiche funzionali a determinate interpretazioni valoriali ed etiche.

In ossequio all’art 2 dello Statuto, che espressamente afferma che l’associazione non ha carattere politico, i componenti del CDC si impegnano a porre al centro dell’azione della A.N.M. la tutela dei magistrati e i temi sindacali: come la tutela del magistrato in malattia, gli strumenti per contenere la diffusione del COVID 19, l’emergenza derivante dallo stato in cui versa l’edilizia giudiziaria e i connessi profili della sicurezza per gli operatori e per i cittadini.

L’ANM deve intervenire su questioni di ordinamento giudiziario, di status dei magistrati e relative al funzionamento della giustizia, evitando di esprimersi, in aperto contrasto con gli scopi statutari, con comunicati pro o contro l’indirizzo politico del Governo e le scelte che ne costituiscono attuazione.

Proprio perché percepita dall’opinione pubblica come “voce” del potere giudiziario, l’A.N.M. non dovrebbe interloquire sui temi dell’agenda politica né prestarsi a diventare “cassa di risonanza” delle dichiarazioni di esponenti politici che (beninteso) non mettano in discussione i valori dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati, traducendosi in libere esternazioni ancorché in tutto o in parte criticabili.

Va poi fermamente avversata ogni deriva verso forme di soggettività politica improprie che trasformano, nella percezione dell’opinione pubblica, l’Associazione in un “partito dei giudici” con effetti nocivi per la credibilità dell’intera magistratura, inficiandone il ruolo di garanzia. La tutela dei diritti fondamentali della Costituzione, anche su temi eticamente sensibili, non spetta all’A.N.M., ma ai singoli magistrati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

Gli interventi della GEC e del suo presidente devono, dunque, essere responsabilmente indirizzati all’attuazione delle finalità dello Statuto (art. 2); vanno, perciò, scongiurati sconfinamenti impropri in ambito politico, con l’intento di influire su scelte che nulla hanno a che vedere con la politica giudiziaria e con l’amministrazione della giustizia ovvero con le esigenze di garantire i principi di autonomia ed indipendenza dell’ordine giudiziario.

Per questo proponiamo, nel caso di deliberazioni o comunicati presi a maggioranza in GEC, che ciascun singolo componente, che si è opposto al deliberato, possa avere la possibilità di mettere a verbale apposita dichiarazione contenente le ragioni del suo dissenso e consacrare così la formale estraneità all’iniziativa intrapresa, salva ogni determinazione in merito all’opportunità di prosecuzione del comune cammino associativo.

  1. Standard di rendimento e carichi esigibili

Dopo oltre un decennio di elaborazione incessante, e non concludente, occorre ora portare avanti, seppure in via sperimentale, e fare finalmente partire i risultati del gruppo di lavoro (istituito dalla IV commissione consiliare) sugli standard di rendimento nel settore civile e completare altresì quelli del gruppo di lavoro consiliare sul penale. Ci sarà (certo) tempo e modo per approfondire e meglio valutare l’impatto della sperimentazione e i suoi riflessi operativi sugli uffici giudiziari, ma bisogna nel frattempo dare una risposta immediata ai colleghi, i quali si chiedono perché non vengano ancora attuate dopo tanti anni puntuali disposizioni di legge (art. 11 co. 2 d. lgs. n. 160/06, per gli standard di rendimento, e l’art. 37 d.l. n. 98/11 per i carichi esigibili) e non venga rispettata la volontà espressa dai magistrati a larga maggioranza col referendum del 2016.

  1. Emergenza da Covid-19

Il diffondersi dell’epidemia in ambito giudiziario, per il contesto in cui si sviluppa, determina gravi riflessi sulla salute pubblica e inevitabili ricadute su un servizio essenziale qual è l’amministrazione della giustizia. Servono anzitutto prescrizioni nazionali per affrontare sul piano sanitario, con modalità omogenee e uniformi nei vari distretti, emergenze di questo tipo negli uffici giudiziari. Al di là delle ulteriori indicazioni che le Autorità sanitarie locali detteranno per le varie zone del territorio nazionale, in ragione del grado di diffusione della epidemia e delle differenziate capacità di risposta del sistema sanitario, deve essere chiaro che spetta in primo luogo al Ministero assicurare un omogeneo grado minimo di protezione dal rischio epidemico e approntare le relative risorse: la presenza di termoscanner, barriere in plexiglass, la frequenza delle sanificazioni degli ambienti e degli impianti di aria condizionata, la fornitura dei dpi, l’effettuazione dei doverosi monitoraggi periodici delle condizioni di salute mediante tamponi molecolari non può dipendere dalle capacità di interlocuzione con gli enti locali e con i diversi soggetti interessati che ciascun ufficio giudiziario sarà in grado di sviluppare. La salvaguardia della salute di chi comunque frequenta i Palazzi di Giustizia e la garanzia dei diritti dei cittadini necessitano di una tutela omogenea sul territorio nazionale, che il Ministero deve assicurare reperendone le necessarie risorse.

Appare altresì necessario l’inserimento dei magistrati tra le c.d. categorie a rischio, come sono ad es. le forze di polizia, giacché anch’essi rientrano tra i lavoratori che, per la tipologia strutturale del servizio che prestano, sono necessariamente a contatto con un pubblico indifferenziato e sempre mutevole (testimoni, parti, avvocati, consulenti, personale di polizia giudiziaria) con il quale devono interagire. Ciò rende i magistrati una delle categorie a maggior pericolo di contagio e l’ANM dovrà pretendere tale riconoscimento, con tutto quel che ne consegue, anche in punto di somministrazione della vaccinazione per il Covid-19, allorché essa divenga disponibile. In tale contesto, e con salvezza delle altre rivendicazioni, l’ANM dovrà altresì fortemente riproporre la questione della decurtazione dell’indennità giudiziaria per malattia, rimarcando, sulla scia delle linee-guida elaborate dal CSM sull’emergenza pandemica, della “apertura” del D.L. n. 137/2020 ai casi di quarantena od isolamento fiduciario per Covid-19 e nel raffronto col trattamento delle altre categorie a rischio, l’insostenibilità del “privilegio negativo” della perdita dell’indennità giudiziaria nel caso di malattia.

Sul piano della normativa emergenziale, si dovrebbe insistere affinché si proceda celermente al consolidamento e a un sensibile rafforzamento di tutte quelle prescrizioni idonee ad assicurare una riduzione delle udienze o delle attività processuali “in presenza”. In tale prospettiva si dovrà ulteriormente procedere sulla via della trattazione cartolare delle udienze civili, estendendone in misura maggiore possibile gli ambiti di operatività.

Quanto al sistema processuale penale, si deve rilevare la complessiva insufficienza dell’intervento di cui al D.L. n. 137/2020, che è apparso focalizzato, sulle sole criticità correlate alla fase delle indagini preliminari. Con il D.L. in menzione si limita inspiegabilmente la possibilità di celebrare udienze, che prevedano esame di testi, parti, consulenti e periti nonché la discussione, mediante il sistema di videoconferenza o il collegamento da remoto, e ciò prescindendo dal consenso, pur manifestato a riguardo, del difensore e dell’imputato. Si ignora così che la diffusione del contagio è alimentata proprio dall’afflusso di persone nelle sedi giudiziarie per il compimento delle attività dibattimentali in presenza. L’indispensabile riduzione al minimo delle presenze nei plessi giudiziari nel periodo emergenziale richiede allora l’adozione del processo “da remoto” come modulo ordinario, e pertanto sottratto alla disponibilità delle parti, per tutta una serie di snodi processuali (questioni preliminari, discussioni, escussioni di testi residenti in altre province, ecc.). Tutto ciò potrà altresì comportare, nella prima fase di sperimentazione delle modalità telematiche di interazione da parte degli operatori giudiziari, la (inevitabile) riduzione del carico dibattimentale. In tale evenienza, non dovrà essere integralmente rimessa alle diverse sensibilità locali la scelta di quali tipologie processuali trattare sino alla cessazione dell’emergenza pandemica, e sarà necessario, rifuggendo i rischi di un deleterio federalismo giudiziario, delineare comuni linee-guida organizzative da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Occorrerà poi, affinché si renda effettivamente massivo e proficuo il lavoro del personale collocato in smart-working, procedere a rimuovere con sollecitudine gli ostacoli all’accesso “da remoto” per il personale amministrativo ai registri di cancelleria.

Roma, 7 novembre 2020

I componenti del CDC eletti nella Lista MI – MPC

Cecilia Bernardo- Salvatore Casciaro- Chiara Gagliano- Enrico Infante-Raffaella Marzocca- Ilaria Perinu- Maria Cristina Ribera- Antonio Sangermano- Michaela Sapio- Ugo Scavuzzo

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