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Pari opportunita in Magistratura? Per una maggiore presenza femminile negli organi rappresentativi.

 venerdì, 4 marzo 2016

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Non sono trascorsi poi tanti anni, almeno in termini di storia, dall’ingresso della donna in magistratura. Da quel 1963 in cui, dopo lunga battaglia, si aprirono le porte di una roccaforte maschile. Una delle tante, certamente, ma che, forse, a differenza di altre, si era preoccupata anche di trovare un avallo scientifico alla propria strenua e programmatica chiusura nei confronti della figura femminile individuandola nella natura stessa della donna.
“Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio ed alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche…” diceva il Costituente nel 1947.
Al termine del primo concorso aperto alle donne, nel 1965, furono otto le vincitrici.
Oggi, a 53 anni di distanza da quel momento ed analizzando il solo dato numerico, dopo una progressiva ed inarrestabile ascesa, nel 2015 si registra addirittura il sorpasso delle donne magistrato il cui numero tocca la percentuale del 50,7 per cento sul totale dei magistrati italiani.
Se quindi sembra essere ormai un dato acquisito quello di una forte presenza numerica della componente femminile in magistratura, è legittimo chiedersi se la parità formale sia sinonimo di parità sostanziale, quale sia oggi il ruolo della donna magistrato, quali le prospettive future.
In altri termini, occorre verificare se il dato numerico sia rappresentativo di una effettiva e paritaria valenza delle donne nella gestione della giustizia, e ciò a prescindere dal rispetto di “quote rosa” o dall’uso dell’appellativo di “magistrata” o da riconoscimenti più o meno convinti della “diversità di genere”.
Un primo ineludibile dato di partenza é proprio quello che registra la presenza numerica che, ben lungi dall’essere neutro, dipinge la tenacia e la capacità tipicamente femminile di perseguire un obiettivo senza risparmiarsi. Atteggiamento che, evidentemente, premia in un iter di studi lungo, difficile e, per certi aspetti, aleatorio come è quello che contraddistingue il concorso per diventare magistrati.
Quanto al ruolo della donna magistrato negli uffici giudiziari, il suo ingresso ha segnato senza dubbio l’introduzione della sua versatilità, retaggio di una atavica abitudine a svolgere più ruoli, e di una sensibilità diversa rispetto sia all’analisi della questione giuridica che rispetto all’organizzazione degli uffici, che ai rapporti con parti, imputati, testi e personale.
Un abito mentale ed un modo di essere, forse più concreto ed aperto a vari livelli di comunicazione che dovrebbe integrarsi e non già contrapporsi a quello maschile, forse più portato alla sintesi ed alla “scarnificazione “ della questione,  nel comune intento di perseguire il miglior funzionamento della giustizia.
E ciò non destinando le donne a ricoprire solo ruoli ove la figura femminile tradizionalmente è stata ritenuta più adatta in quanto più rassicurante, per esempio presso il Tribunale dei Minori, ma consentendo alla stessa di sfruttare le proprie potenzialità nei diversi settori della giurisdizione giudicante e requirente con la consapevolezza che essere donna  non dovrebbe rappresentare un ostacolo da superare bensì costituire una risorsa ed un arricchimento della giurisdizione.
Un tipico esempio di come tale integrazione possa essere positiva è offerto dai collegi penali misti, laddove proprio la compresenza di differenti modi di vedere e di affrontare le questioni, soprattutto in sede di camera di consiglio, rappresenta la migliore garanzia per le parti coinvolte nel processo a cominciare dall’imputato.
Sono infatti proprio le diverse sensibilità, il diverso modo di affrontare e di valutare sia le questioni giuridiche che i fatti oggetto del processo ed il differente linguaggio a garantire una decisione che sia espressione di un compiuto e analitico esame delle risultanze processuali nella dialettica alternanza di fasi di analisi e di sintesi che mettano di volta in volta in luce non solo il bagaglio tecnico dei componenti del collegio ma anche la loro impostazione logica nonché la loro conoscenza e la loro visione  del mondo.    
E non vi è dubbio, soprattutto per chi ne abbia fatto esperienza, che il diverso approccio al materiale probatorio ed alla sua analisi sia rilevante soprattutto nei processi per reati sessuali, sia in danno di maggiorenni che di minorenni, o in materia di separazione e di divorzio, laddove la valutazione delle risultanze istruttorie e l’applicazione di una norma sovente è filtrata anche dalla sensibilità e dalla cultura individuale. E dove talvolta, come in particolare in materia di famiglia, decidere sull’affidamento di minori in situazioni conflittuali, vuole dire innanzitutto, a prescindere dall’ausilio che possono fornire i consulenti, conoscere e capire nel profondo una materia viva, pulsante e cercare sia pure faticosamente di darle un assetto.
Se può ritenersi acquisito che il magistrato donna sia entrata negli uffici giudiziari, e come tale riconosciuta anche nell’immaginario collettivo, è legittimo chiedersi se tale parità sia effettiva in una prospettiva più ampia, ovvero con riguardo alla possibilità di ricoprire incarichi apicali, ovvero direttivi o semi direttivi, oppure di componente di organi rappresentativi.
E’ qui che si misura più che altro il perdurante divario con la componente maschile, allorché si tocca il c.d. “soffitto di cristallo”, che ancora oggi malgrado le recenti nomine di varie donne in posizioni apicali, quali presidenti di Tribunali o presidenti di Corti di Appello, resiste ad evidenziare come il problema di genere o pregiudizio di genere in realtà, perduri laddove al magistrato donna siano preclusi determinati ruoli e non tanto e non solo perché la stessa non venga nominata ma piuttosto perché non viene messa in condizione di poter concorrere a parità di armi.
Anche cogliendo, almeno per una volta, l’esempio che viene dalla politica, forse è questo il momento per promuovere una più massiccia presenza femminile negli organi rappresentativi della Magistratura e questo non tanto per garantire il rispetto di quota rosa o allontanare il fantasma del pregiudizio di genere ma per far entrare un punta di vista diverso, un modo alternativo di affrontare un problema, che sia tecnico-giuridico, di comunicazione, o di mera diplomazia.
Considerando anche che la insufficiente valorizzazione della professionalità femminile determina uno spreco di risorse e che la scarsa rappresentanza delle donne costituisce un ostacolo alla accettazione del principio che l’ eguaglianza si realizza soltanto con la partecipazione effettiva di donne e di uomini ad ogni livello decisionale.
Una partecipazione che sarebbe in questo momento storico quanto mai auspicabile anche nell’ambito della stessa Associazione nazionale magistrati onde valorizzare al meglio le attitudini femminili e favorire una maggiore rappresentatività della base che spesso ha lamentato uno scollamento tra la realtà dei magistrati e l’associazione.
Ma il vero ostacolo in realtà si trova a monte. La mole di lavoro che incombe sui magistrati negli uffici giudiziari unita agli impegni familiari finisce per dissuadere le donne magistrato dall’intraprendere cammini ulteriori ed aggiuntivi che fatalmente richiedono altro tempo ed altra attenzione. Specie se viste dagli altri colleghi, anche dalle stesse donne, come soggetti alla ricerca di visibilità e di strade alternative. Anche una campagna elettorale richiede tempo, così come richiede altro tempo partecipare a delle riunioni, specie se fuori sede.
Ma se questo per il collega uomo è sintomo di vivacità intellettuale, per la donna è velleitarismo, nonché scarsa sensibilità nei riguardi dei propri doveri familiari.
E’ quindi una rivoluzione culturale che serve. Con cui finalmente la donna, anche quale magistrato, si possa sdoganare da certi stereotipi ed intraprendere con serenità il cammino che le sue attitudini ed i suoi talenti le suggeriscono di affrontare. 
In modo da consentirle, ovviamente nell’interazione con la componente maschile, di provare sul campo e di sfruttare al meglio le proprie peculiarità che già quotidianamente mette alla prova e con successo in ambito sociale, culturale, economico ed ora anche politico.


Marina Cirese
Magistrato addetto all'Ufficio del Massimario
e del Ruolo della Corte di cassazione

 
 
 
 
 
 

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