MI SULLA ASTENSIONE DALLE ATTIVITA’ GIUDIZIARIE PROCLAMATA DALLE CAMERE PENALI DAL 13 AL 15 GENNAIO 2014
giovedì, 9 gennaio 2014
MAGISTRATURA INDIPENDENTE SULLA ASTENSIONE DALLE ATTIVITA’ GIUDIZIARIE PROCLAMATA DALLE CAMERE PENALI DAL 13 AL 15 GENNAIO 2014
Le Camere Penali hanno proclamato una nuova astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale, per la durata di tre giorni dal 13 al 15 Gennaio.
Nelle motivazioni espresse con la delibera del 20.12.13 vengono evidenziati, a supporto di detta astensione, casi di asserita " aggressione alla funzione difensiva" che si sarebbe " aggravata con riguardo alle prassi investigative e giudiziarie".
E’, inoltre, richiamata la esistenza nel nostro codice di rito penale di disposizioni che "alimentano" la "diffidenza" nei confronti della attività difensiva e si stigmatizzano una serie di prassi applicative, riportate peraltro in modo disorganico e non rispondenti alla realtà funzionale (in materia di intercettazioni, di colloqui difensivi, di immutabilità del giudice), che sarebbero addirittura il segnale di un’"aggressione" al ruolo defensionale.
Magistratura Indipendente non condivide le ragioni e le motivazioni che hanno portato a deliberare ben tre giorni di astensione dalle udienze e dalle attività giudiziarie penali (astensione che determinerà ulteriori disfunzioni per il nostro sistema giustizia), né le espressioni, i contenuti ed i toni utilizzati.
Rileva innanzitutto la tendenza a censurare una pretesa “crescente insofferenza verso l’attività defensionale” partendo dal riferimento - peraltro assai generico - a prassi di singoli uffici giudiziari e a specifici provvedimenti. Ora, senza scendere nel merito di ciascuno di questi casi, va posta una questione di metodo: è apodittico e fuorviante trarre da singoli esperienze o casistiche il convincimento di una tendenza generalizzata nella magistratura a prevaricare, pretermettere o vanificare l’esercizio del diritto di difesa, quasi che nell’intero ordine giudiziario si stesse deliberatamente e monoliticamente diffondendo una prassi in questo senso, laddove nella generalità dei casi i singoli magistrati rispettano compiutamente le garanzie difensive e lo fanno applicando scrupolosamente la legge.
Ad avviso di MI sarebbe invece oltremodo opportuno che le Camere Penali, anziché lanciare i propri strali sull’intera magistratura sulla base di singoli dati empirici, si dolessero in sede locale, ove del caso e nelle forme dovute, di eventuali prassi ritenute difformi rispetto ai principi dell’ordinamento che assicurano l’esercizio del diritto di difesa, ed evitassero quindi atteggiamenti polemici ormai stereotipati che, proposti in questo modo, lasciano intravvedere piuttosto un diffuso e sommario pregiudizio dell’avvocatura verso la magistratura e portano a ravvisarne la gratuità e pretestuosità.
Con riguardo, poi, alla censurata ’”abitudine, illegittima e anche illecita, di ascoltare e registrare le conversazioni tra avvocato e difeso”, essa costituisce un vecchio cavallo di battaglia dell’UCPI e ribadisce critiche da tempo mosse alla costante giurisprudenza della Cassazione: in realtà, se è vero che l’art. 103 comma 5 c.p.p. vieta le intercettazioni degli avvocati, è però ovvio che tale divieto si giustifica non già con la qualifica professionale soggettiva dei difensori, ma nell’attività cui essi sono istituzionalmente preposti all’interno del procedimento, ossia l’esercizio del diritto di difesa; è nella stessa logica del codice che le conversazioni debbano essere valutate in tale chiave solo dopo che esse sono state ascoltate e registrate, per poter verificare la riferibilità o meno delle conversazioni a tale diritto: tant’è che la sanzione processuale della violazione del divieto di cui all’art. 103 comma 5 c.p.p. è la declaratoria (necessariamente “postuma”!) di inutilizzabilità, di cui al successivo comma 7, che ha come corollario la distruzione del materiale inutilizzabile ex art. 271, c. 3, c.p.p..
Pertanto, l’ormai datata abitudine dell’Avvocatura associata di muovere alla magistratura l’accusa di abusare dell’ascolto e della registrazione di conversazioni tra difensore e assistito va una volta di più respinta al mittente, in quanto fondata su rilievi preconcetti e anch’essi pretestuosi, oltrechè ormai stancamente reiterati da anni rispetto a un’interpretazione giurisprudenziale rigorosamente allineata con il codice di rito e con la sua logica.
Sempre prescindendo da notazioni di merito riguardanti singoli casi (che, lo si ripete, meglio si attaglierebbero a essere discussi in sede locale), Magistratura Indipendente rileva che l’avvicendamento nella composizione di un organo giudicante nel corso del dibattimento penale è eventualità che può essere legata a molti fattori diversi, nessuno dei quali può in alcun modo essere imputato all’ordine giudiziario: a parte, infatti, i casi (statisticamente non infrequenti) di pensionamento, malattia o trasferimento ad altra sede del singolo magistrato, è prevista altresì dall’ordinamento giudiziario la temporaneità della permanenza del magistrato nell’incarico presso lo stesso ufficio (art. 19 D.Lgs. 160/2006). È ovvio che, specie in determinate sedi o in determinate situazioni contingenti, tali eventualità possono presentarsi in modo più frequente. Ma va anche evidenziato che il mutamento nella persona fisica dell’organo giudicante - pur essendo sicuramente fonte di disservizi, dei quali proprio la magistratura è la prima a dolersi- non può sicuramente essere indicato come lesione del diritto di difesa; ciò è tanto vero che, in forza del principio affermato dall’art. 525 c. 2 c.p.p., esso determina l’integrale rinnovo degli atti istruttori già compiuti durante il processo precedentemente svolto, salvo che tutte le parti (e in particolare i difensori degli imputati) non prestino il loro consenso (eventualità notoriamente alquanto rara….) a dare tale rinnovo per svolto mediante lettura, “salvando” così l’attività istruttoria già espletata. Il fatto che tali eventualità, previste dalla legge e comunque rientranti nella fisiologia di una qualsivoglia organizzazione, vengano addebitate alla magistratura appare francamente paradossale e tradisce anch’esso un atteggiamento polemico privo di qualsiasi giustificazione, purtroppo consueto e ripetitivo nelle delibere UCPI che si susseguono ormai da anni; e ciò è tanto più grave se si considerano i danni che vengono arrecati al servizio giustizia (e ai cittadini-utenti) dal reiterato e ormai inflazionato ricorso dell’Avvocatura allo strumento dell’astensione, con motivazioni in larga parte uguali a se stesse, a fronte di una ormai storica assenza di effetti positivi dell’uso sistematico di tale strumento di protesta.
Stupisce, inoltre, come non vi sia, nel deliberato delle Camere Penali, alcun cenno alla necessità di una serie di riforme del nostro sistema processuale penale, che consentirebbero realmente di offrire una protezione efficace e tempestiva ai diritti fondamentali del cittadino.
E se certamente è necessario esigere il pieno rispetto delle garanzie difensive, occorre considerare, come già in altre occasioni evidenziato da Magistratura Indipendente, se non ve ne siano alcune meramente “dilatorie” e formali, tali da comportare irragionevoli allungamenti delle fasi processuali, queste sì in violazione del principio di ragionevole durata del processo, cristallizzato nell’art. 111 Cost. quale elemento essenziale per un processo “giusto”.
E si potrebbe o dovrebbe così pensare a riformare la disciplina della prescrizione (conformandola a quella di tutti gli altri Paesi occidentali), disciplina che costituisce nel nostro ordinamento una sorta di paradossale incentivo a dilatare i tempi del processo e cercare di allontanare il più possibile il momento della decisione; si dovrebbe semplificare il regime delle notifiche e il loro quasi ossessivo ripetersi; rivedere lo statuto delle nullità privilegiando quelle che sanzionano lesioni sostanziali al diritto di difesa.
Sarebbe, inoltre, necessario salvaguardare tutti i meccanismi di verifica della rilevanza, pertinenza e sovrabbondanza delle prove proposte dalle parti e, al contempo, introdurre norme più duttili per l’esame dibattimentale dei testi e per la formazione della prova senza irragionevoli rigidità'.
Davvero numerosi sono i temi e le possibili riforme su cui aprire un confronto costruttivo per una giustizia penale che sia efficiente, che garantisca rigorosamente i diritti di difesa e le prerogative del difensore, ma che sia anche in grado di offrire tutela e risposta effettiva alle vittime dei reati e alle aspettative ed esigenze di legalità della nostra società.
Magistratura Indipendente si augura che su questi temi possa svolgersi un dialogo sereno e costruttivo con tutte le componenti della avvocatura.
Lorenzo Pontecorvo Stefano Schirò
Segretario Generale Presidente